Back to top
Peaky Blinders – Stagione 2
Sono un po’ di anni ormai che la dicitura BBC Original Drama è diventata una garanzia di qualità. Spesso miniserie, altre volte opere più estese, sempre (o quasi) prodotti seriali di altissimo livello, come Peaky Blinders.

Pensare che la BBC è un’emittente pubblica, forse la più importante al mondo – sicuramente quella da cui hanno preso spunto tutte le televisioni di Stato dalla metà del secolo scorso in poi -, fa venire i brividi. È come se Peaky Blinders fosse prodotta da Rai Due. Il fatto poi che attori britannici ormai famosi in campo statunitense siano inclini a girare prodotti di qualità in patria aumenta il valore assoluto di queste serie, oltre che la rilevanza mediatica. Non ci sarebbe Peaky Blinders senza il volto scavato di Cillian Murphy, i cui occhi bucano lo schermo a ogni primo piano.

Seguendo saldamente la sua forte e fortunata tradizione relativa al period drama, la BBC realizza una serie ambientata nella Birmingham della fine degli anni Dieci, in pieno post Prima Guerra Mondiale. Peaky Blinders racconta di un mondo immerso nella povertà e negli strascichi sociali dovuti al conflitto mondiale in preda al banditismo e alle autoregolamentazioni selvagge. In questo contesto agisce la banda criminale che dà il nome alla serie, una serie di giovani ribelli che si impossessano del quartiere di Small Heath. Il loro segno distintivo è una lama nascosta nel risvolto del cappello, oggetto spesso usato come arma segreta durante le risse. Nell’acciaccata città inglese la banda, capitanata da Thomas Shelby (Cillian Murphy) è un’istituzione, un gruppo di uomini e donne che merita rispetto, molto più dello stato centrale, visto come la causa delle condizioni in cui si trova la città. A dar loro la caccia c’è soprattutto C.I. Campbell (Sam Neill) spietato poliziotto arrivato da Belfast intenzionato con le buone o con le cattive a disinfestare la città dalla criminalità organizzata. La variabile impazzita è costituita da Grace Burgess, misteriosa cantante e bionda femme fatale, pronta a creare scompensi in ogni dove.

Nonostante la televisione pubblica possa sembrare il contesto più allergico alle identità autoriali e più incline a modelli di produzione industriale standardizzata, questo non accade nel caso della BBC, perfetta nel bilanciare il suo modello produttivo sempre efficace e di successo con personalità creative di grande rilievo. In questo caso il responsabile dell’intero progetto è Steven Knight, grandissimo sceneggiatore britannico e da qualche anno anche regista con ottimi risultati. L’autore dello script de La promessa dell’assassino, una delle migliori opere dell’ultimo Cronenberg, inserisce in Peaky Blinders alcune delle tematiche che hanno caratterizzato molte delle sue storie, dal rapporto viscerale con la famiglia, all’orgoglio dei suoi protagonisti. L’importanza del nucleo familiare, l’onore, il rispetto per le gerarchie, la protezione degli elementi più indifesi e il romantico vai e vieni tra amore e lavoro, sempre e comunque legati, sono al centro anche della serie, opera dallo stile inconfondibile e precisa come poche altre nell’analisi dei legami di gruppo.

Ciò che impressiona maggiormente di Peaky Blinders è lo stile, che molti definirebbero come “simile a quello delle migliori serie americane”, probabilmente non conoscendo le qualità delle produzioni inglesi. La fotografia stupisce sin dal primo episodio, soprattutto riguardo la gestione della luce nelle riprese in interni e alla capacità di illuminare i volti dei protagonisti. A questo si associa una maniacale cura dei dettagli scenografici e una perfetta ricostruzione del contesto storico. Di Peaky Blinders però si ricorderanno per sempre le musiche, capitanate dalla figura dominante di Nick Cave, ma affiancate anche da brani di artisti del calibro di Tom Waits e PJ Harvey.
 
Se proprio bisogna fare un paragone con la produzione statunitense, possiamo dire che dal punto di vista estetico-formale la cosa più vicina a questa serie è sicuramente Boardwalk Empire: sia per il momento storico in cui le due serie sono ambientate, sia per un comune approccio visivo capace di fondere alla perfezione personaggi carismatici col contesto in cui essi si muovono, grazie soprattutto a interni di grande pregio e una regia capace di valorizzarli.

A poche settimane dalla fine della seconda stagione ci sentiamo di consigliare caldamente questa serie, simbolo di una produzione, quella britannica, mai abbastanza seguita e apprezzata.
Peaky Blinders – Stagione 3
Ci sono serie che fin dal primo episodio sono dirompenti e magnetiche, ma che per chissà quale ragione quasi nessuno vede. Di queste serie spesso ci si accorge dalla seconda stagione in poi, grazie anche al ruolo del passaparola; solo in alcuni casi però si ha la fortuna di trovarle ancora in piena forma. Peaky Blinders è una di queste.

Quanto ci erano mancanti questi delinquenti di Birmingham, con il loro furore ultra-violento, con la loro cieca fede nella famiglia, con i loro eroi decadenti e le loro donne così forti, così sensibili, così indispensabili?
Questa premiere sin dalle prime immagini lavora sul rapporto tra variazione e continuità, ricordandoci ciò per cui amiamo la serie, giocando col tempo e lo spazio in maniera abbastanza inedita. Molto interessante è infatti il raccordo con il finale della scorsa stagione, specie perché a seguirlo abbiamo un netto flashforward di tre anni, tutto incentrato sul matrimonio di Thomas Shelby. Non sono poche le domande che questo accostamento propone, generando subito una significativa curiosità nello spettatore, soddisfatte solo in parte dal prosieguo dell’episodio, innescando così grandi aspettative riguardo alle prossime puntate.

Why the fuck you’re talking Russian business on Thomas’s wedding day?

Proprio il rapporto tra i generi sessuali è uno dei principali motivi di interesse di Peaky Blinders. In maniera molto simile a Sons of Anarchy, la serie costruisce un gruppo di protagonisti maschili al quale affianca alcune donne forti che sono al contempo oggetto e soggetto del racconto. Si tratta infatti di personaggi femminili duali: spesso di donne in pericolo, indifese, in balia di uomini malvagi e in attesa di essere salvate dai protagonisti; altre volte invece si trasformano in salvatrici, in portatrici di senno ed equilibrio quando non di intelligenza strategica.
Fin dal primo episodio Grace si è posta come una figura radicalmente diversa dagli altri, capace di affermarsi con armi alternative rispetto alla banda di Shelby, utilizzando la grazia e il canto come caratteristiche distintive valide non meno della violenza o l’astuzia. Cosa dire poi di zia Polly, personaggio straordinario che dalla seconda stagione è diventata una sorta di co-protagonista e che in questa premiere svolge un ruolo fondamentale, sia di difesa della tranquillità del matrimonio del nipote, sia di mediazione tra la banda e gli interlocutori lavorativi, finendo per chiudere l’episodio nella stanza dei soldi in compagnia del solo Thomas.

For them, family is a weakness and they go after them. For me, family is my strength. And there’s business to be done.

Il matrimonio è il cuore dell’episodio e soprattutto rappresenta la situazione narrativa perfetta da cui far partire tutte le storyline, giocando sul dietro le quinte, sull’alternanza tra presenza e assenza all’evento, dosando perfettamente i comportamenti dei protagonisti tra pubblico e privato.
Il matrimonio in sé è messo in scena come meglio non si poteva, con le immagini della cerimonia accompagnate da “Breathless” di Nick Cave che vanno a infarcire la più dolce delle unioni con un romanticismo disperato che non preannuncia nulla di buono e che al contempo dichiara una felicità magari temporanea ma di rara intensità. Non mancano nemmeno i momenti divertenti, come per esempio il confronto tra le due fazioni, ovvero gli invitati di Thomas e quelli di Grace, i quali al momento della proclamazione reagiscono in maniere completamente diverse (scalmanati i primi, composti i secondi) rendendo impossibile per lo spettatore trattenere il sorriso.
Il matrimonio in questo caso è anche capace di farsi simbolo, sigillo fondamentale per i Peaky Blinders, tanto da essere usato come arma di convincimento da Thomas verso Arthur, ricordando che la famiglia, se per altri può rappresentare una debolezza, per loro costituisce una forza. Non tutto di questo discorso corrisponde a verità, tanto è vero che l’instabilità di Arthur al matrimonio è il maggiore fattore di preoccupazione per Thomas e quindi una debolezza; senza dubbio però quest’ultimo ha basato l’intero impero su valori tradizionali e solidi come quello della famiglia, che fino a questo momento gli hanno dato ragione.

I wonder, why does he trust his aunt more than his brothers?

Il matrimonio è anche l’occasione per introdurre il villain stagionale, o meglio l’elemento di disturbo principale che in questo episodio si presenta nella figura di un gentiluomo russo fatto di sicurezza, pacatezza e una tagliente quanto spaventosa ironia. È molto bello il modo in cui questi viene introdotto, specie perché la sua presenza risulta essere una sorta di germe in un organismo apparentemente sano e forte come la famiglia nel momento dell’unione matrimoniale. Tra le caratteristiche distintive del suo personaggio c’è proprio l’esotismo, percepito sia dagli spettatori che dai membri della famiglia (che lo chiamano più volte turco), soprattutto per via di una fisicità bizzarra e di una pericolosità difficilmente decifrabile.
A suscitare interesse è proprio l’interrogativo legato ai modi in cui i Peaky Blinders cercheranno di reagire a questo avversario, il quale potrebbe non solo coglierli impreparati, ma colpirli al cuore della propria unità, come ha dimostrato di saper fare già in quest’episodio, tentando di mettere contro i fedelissimi di Shelby e zia Polly e puntando sull’orgoglio e sulla messa in discussione della loro virilità.

But you want me to be like them, don’t you?

Tornando al dietro le quinte del matrimonio, è molto interessante osservare le dinamiche interne ai Peaky Blinders: se del rapporto tra Thomas e Arthur (e dell’instabilità di quest’ultimo) si è già in parte parlato e senza subbio si parlerà dopo l’omicidio che chiude l’episodio, un’attenzione particolare va riposta su Michael. Il più giovane della banda è sia quello con meno esperienza da gangster sia quello con la maggiore voglia di dimostrare di avere la stoffa per esserlo, gettandosi spesso in modo incosciente in situazioni in cui non è così sicuro che abbia la stoffa per uscirne. Il dialogo tra lui e la giovane donna è una sequenza da manuale, con una perfetta illuminazione, una messa in scena ricca di dettagli e un erotismo che traspare da ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola. La donna vede in lui la trasgressione, la possibilità di un amore autentico, la forza di un sentimento che potrà solo sognare nel futuro che l’aspetta, fatto di matrimoni programmati e ruoli in cui sentirsi ingabbiati. Michael vede in lei il terreno di conquista, il passaggio all’età adulta, il valico necessario per essere almeno in parte come Thomas.

Questa meravigliosa premiere di Peaky Blinders si chiude con un montaggio musicale costruito su “You and Whose Army?” dei Radiohead, tanto per ribadire nuovamente la capacità di Steven Knight di usare la musica in modo sempre perfetto e mai banale. Le aspettative erano abbastanza alte e per una volta sono state soddisfatte pienamente, grazie anche a un Cillian Murphy maestoso a una Helen McCrory che buca lo schermo ad ogni primo piano.

Voto: 8
Peaky Blinders – Stagione 4
Il cammino percorso dalla serie di Steven Knight è divenuto anno dopo anno sempre più ambizioso e complesso, conducendoci a una quarta stagione che, con sei episodi trascinanti e intensi, non fa che confermare l’inamovibile qualità dello show. In un crescendo di azione e di pericolo, la rappresentazione delle vite al limite dei gangster di Birmingham intrattiene il pubblico senza alcuna fatica, forte di una compattezza narrativa e di una maestria tecnica ed estetica che concorrono a rendere Peaky Blinders ancora più notevole.

Un lavoro, dunque, che merita di essere lodato anche quest’anno, soprattutto se si tiene in conto la difficile sfida di far ripartire il racconto dopo le divisioni e i colpi di scena che hanno caratterizzato la fine della terza stagione. La compattezza stessa della famiglia Shelby, principale fonte della loro forza (e della forza dello show in generale), è infatti messa in discussione come mai prima d’ora, aprendo la strada a una scrittura audace quanto rischiosa, che non ha paura di stravolgere le carte in tavola per ravvivare e innovare l’andamento generale dello show.

Abbiamo già visto come uno dei temi fondanti di questa stagione sia proprio la riflessione sulle conseguenze dell’essere parte della famiglia Shelby e, soprattutto, sulla consapevolezza – acquisita man mano da ognuno dei personaggi – di non poter scappare da questa condizione, proprio perché in passato è già stata ampiamente superata quella linea che distingue una vita ordinaria da una vita “straordinaria”, dove la morte (provocata o subita) aleggia costantemente sulla quotidianità dei nostri protagonisti.
Non è un caso, dunque, che la prima dipartita della stagione capiti proprio a John (Joe Cole), colui che più di tutti si illudeva di poter riconquistare una serenità che, invece, non è più a portata di mano di nessuno Shelby. Dopotutto, la minaccia di Luca Changretta invade le case dei Peaky Blinders proprio nel periodo natalizio, tingendo l’atmosfera generale di una crudele ironia che non fa che sottolineare la particolarità delle vite di questi ultimi. In vista di un tale pericolo, la dispersione della famiglia dev’essere arginata a tutti i costi perché lo scontro con la mafia richiede uno sforzo che deve necessariamente essere collettivo: occasione, questa, che conduce alla riunione dei protagonisti a Small Heath. Si tratta, tuttavia, di un ricongiungimento soltanto fisico: i fantasmi dei traumi incontrati in precedenza continuano a tormentare e a dividere gli Shelby, e soprattutto è ancora forte la rabbia generale nei confronti di Thomas.

È proprio il ritorno o meno della fiducia e della collaborazione reciproca il campo sul quale gli autori hanno scelto di giocare; a tal proposito, un ruolo chiave lo ha avuto Polly (Helen McCrory), colei che più di ogni altro ha covato rabbia e risentimento sempre maggiori, emozioni amplificate soprattutto dalle ripercussioni sofferte da Michael. La possibilità di un serio tradimento da parte della donna ai danni di Thomas ha reso chiaro al pubblico che l’approdo a una simile decisione comporterebbe una frattura insanabile nei meccanismi familiari (e non solo) dei Peaky Blinders. E l’ipotesi di una famiglia Shelby ormai sciolta e alla deriva rende ogni suo singolo componente un più facile e fragile bersaglio nelle mani dei numerosi nemici che minacciano i protagonisti da ogni dove.
Tuttavia, una delle caratteristiche più interessanti donate al personaggio di Polly è quella poliedricità che le permette di unire ai suoi tratti più impetuosi, ardenti e irrazionali una spiccata intelligenza e una carismatica propensione alla leadership che, nel tempo, hanno contribuito a renderla una delle figure di maggiore importanza della famiglia Shelby, seconda soltanto a quella di Thomas. L’insieme delle esperienze vissute con e per la propria famiglia – anche e soprattutto quelle più difficili – hanno reso il suo personaggio un tutt’uno con le tipiche dinamiche vissute dai Peaky Blinders, rendendo impossibile alla donna lo staccarsene del tutto.
La rivelazione – avvenuta solo a fine stagione – del piano costruito con Tommy ai danni di Luca, più che stupire lo spettatore, tende a rassicurarlo: la rabbia di Polly, per quanto dirompente, non avrebbe mai potuto scardinare la natura di quel peculiare intreccio di amore e di odio che caratterizza il suo rapporto con il resto dei Peaky Blinders.

Dopotutto, la forza e la crudeltà possedute dall’antagonista principale di questa stagione, Luca Changretta, rappresentavano da sole un motivo più che sufficiente per convincere la donna a tornare a collaborare con il nipote: si tratta, infatti, del pericolo più insidioso che la famiglia Shelby abbia mai incontrato. Non stupisce, dunque, che i livelli più alti dello show si siano raggiunti proprio con la rappresentazione del conflitto fra Thomas e Luca. Merito di una scrittura che ha saputo donare ritmo e tensione alla narrazione, certo, ma anche e soprattutto di un’esecuzione attoriale di pregevolissima fattura, attraverso cui Cillian Murphy e Adrien Brody hanno potuto dominare lo schermo, magnetizzando senza sforzo l’attenzione degli spettatori. Dal loro primo incontro – avvenuto nella meravigliosa scena finale di “Heathens” – fino all’ultimo, entrambi hanno magistralmente espresso appieno la natura di uno scontro così strategico e sanguinario.

E saranno proprio l’intelligenza e la strategia a portare infine Thomas alla vittoria: il protagonista è stato capace di sfruttare la sua iniziale posizione di svantaggio di fronte a un’organizzazione dalle dimensioni ben più grandi della propria (come Luca gli ha spesso ricordato). L’andamento e l’esito dell’incontro di box in “The Company” simbolizza perfettamente il tipo di duello ingaggiato fra Luca e Thomas, dove il secondo approfitta dei duri colpi ricevuti dal primo allo scopo di fargli credere di aver vinto. La messa in scena della morte di Arthur sarà allora l’occasione per cogliere Luca di sorpresa e per infliggergli il colpo di grazia, ma sarà soprattutto l’ennesima conferma del fatto che i Peaky Blinders sono tali solo se agiscono come un unico corpo e un’unica mente, mirando così alla creazione di un meccanismo sempre più potente e imbattibile (la collaborazione con Al Capone e l’ascesa in politica di Thomas ne sono i risultati).

L’andamento di questa stagione sembra ormai aver reso chiaro ai protagonisti che, dopo tutto quello che è successo, è impossibile tornare indietro: quel che adesso resta da fare è – come ammette Polly – stringere un patto col diavolo; sacrificare ogni possibile serenità per vivere quella vita “in più” che sente di possedere chi, come i Peaky Blinders, ha sfiorato la morte e danza con lei ogni giorno in un circolo vizioso di sangue e di potere.
Lo stesso confronto con la new entry più interessante della stagione, Jessie Eden, ha permesso di sottolineare ancora di più il distacco di Tommy dal tipo di uomo che era un tempo. Intraprendente, audace e carismatica, la giovane interpretata da Charlie Murphy ha permesso alla narrazione di arricchirsi ulteriormente esplorando la presenza del trascinante sentimento rivoluzionario che caratterizzava quel tempo e, simultaneamente, adeguandola alla messa in scena di un confronto fra il Thomas del passato – idealista e passionale – e quello del presente, che è invece cinico e subdolo.

L’insieme generale di questi elementi – ben equilibrati sia nella loro natura di crime drama che nell’indagine più introspettiva a cui lo show tende a dedicarsi – concorre a rendere la quarta stagione un’altra scommessa vincente. Forte di una scrittura matura e stratificata, di una regia e di un’estetica sempre valide e ispirate, Peaky Blinders continua a intrattenere mantenendo alta l’asticella della qualità e ipnotizzando il suo pubblico con un lavoro che – seppur non sempre perfetto – dimostra di avere ancora molto da offrire, confermandosi sempre più maturo, audace e coinvolgente.
 
Voto: 8/9

Nota:
Merita una menzione la splendida interpretazione di Tom Hardy nei panni di Alfie Solomons, il cui percorso si è concluso quest’anno. Con il suo humor, la sua follia e la sua imprevedibilità, l’attore è riuscito ad incarnare in un solo personaggio gran parte delle peculiarità che caratterizzano l’anima stessa di Peaky Blinders, mettendo così in scena una delle figure più riuscite e memorabili dello show.
Peaky Blinders – Stagione 5
Il percorso della serie di Steven Knight ha saputo distinguersi, nelle quattro annate ormai passate, per un livello qualitativo che – nonostante la presenza di qualche difetto qua e là – non è mai diminuito, e che ha permesso allo show di conquistare gli spettatori grazie a una sceneggiatura avvincente, un cast a dir poco talentuoso e una regia e un’estetica tanto curate che, a lungo andare, sono diventate la firma delle avventure dei malviventi di Birmingham.

Ma la forza e la qualità di Peaky Blinders non dipendono mai da uno solo di questi elementi: è stato, il più delle volte, l’insieme equilibrato e ben amalgamato di queste caratteristiche a donare alla serie quel fascino che ha saputo conquistare il pubblico. E lo ha conquistato forse con più calma rispetto a tanti altri prodotti televisivi dello stesso genere, ma lo ha fatto con decisione perché, una volta incontrati i gangster di Birmingham, è poi difficile farne a meno. Si tratta di un successo che forse non si aspettavano neanche gli autori dello show, progettato in principio per concludersi con la quinta stagione, ma fortunatamente con una sesta (e forse settima) stagione in arrivo.

L’inaspettata lunga vita di Peaky Blinders non poteva arrivare in un momento migliore: questa quinta stagione da poco approdata su Netflix ha aperto scenari tanto interessanti quanto complessi per i nostri Shelby, che troviamo alle prese con quel periodo a dir poco turbolento che aprirà la strada alla terribile seconda guerra mondiale. Alla luce di ciò, questa annata sembra quasi fare da ponte verso una trasformazione irrimediabile del mondo e, soprattutto, degli stessi Peaky Blinders, che vediamo alle prese con sfide mai affrontate finora, le quali, ora come non mai, minacciano le fondamenta stesse del legame fra i membri della famiglia. Ma andiamo con ordine.

Who’s going to take the throne?

Il finale della quarta stagione ci ha lasciati con l’immagine di un Tommy Shelby che, già forte dopo le numerose sfide vinte in passato, ha ulteriormente accresciuto il suo potere vincendo le elezioni e entrando a tutti gli effetti nel mondo della politica, innalzando esponenzialmente il suo controllo e il suo dominio sugli affari e sui luoghi di sua competenza, i cui limiti sembrano ormai sempre meno netti. La visione trionfante di quell’uomo circondato da ogni agio possibile e con in mano un potere sempre più grande non è però destinata a durare: la quinta stagione si apre infatti con il noto crollo della borsa del 1929, che colpisce non poco tutta la famiglia Shelby, prosciugando gran parte del loro patrimonio e costringendo Tommy e gli altri a concentrarsi nuovamente sulle attività illegali per monetizzare.

La gestione della crisi, mirata ad affrontare questo nuovo nemico (il primo privo di sembianze umane) si è rivelata l’espediente perfetto per mettere in luce gli screzi e le note stonate di un legame familiare che inizia a scricchiolare. Il periodo storico così pieno di cambiamenti che gli Shelby si trovano ad affrontare sembra aver messo a dura prova la leadership stessa di Tommy, che si sente ora minacciato come non mai non solo da forze esterne (a cui si aggiungeranno ben presto le minacce dei Billy Boys), ma anche e soprattutto da possibili forze interne, rappresentate più che altro dai giovani della famiglia.
Questa minaccia economica, infatti, non ha costretto (come succedeva in passato) gli Shelby ad unirsi e a mettere da parte possibili malintesi per sopravvivere contro un nemico comune, ma ha fatto riaffiorare quei malumori ancora inespressi che hanno fatto tremare le fondamenta dell’intesa e della “gerarchia” familiari che da anni ormai avanzavano indisturbate.

Come spesso accade, l’alba di alcuni stravolgimenti storici viene spesso letta da chi la vive come un segno di cambiamenti positivi; come l’arrivo di nuove e floride possibilità capaci di sostituire il “vecchio” per gettarsi a capofitto in un futuro che appare roseo e pronto ad accogliere ogni slancio d’intraprendenza. Michael, di ritorno con una nuova moglie ambiziosa e senza peli sulla lingua (la new entry Gina, interpretata da Anya Taylor-Joy) da un’America che di certo non guarda ai Peaky Blinders con lo stesso rispetto presente sul territorio britannico, è il simbolo di queste sensazioni. Le sue idee, le sue strategie e i suoi suggerimenti non fanno altro che risvegliare in Tommy la paura di essere messo da parte, di essere in qualche modo sconfitto dai tempi che corrono.

Happy or sad, Tommy?

Ma perché Tommy è così spaventato all’idea di perdere il suo trono? Certo, il comportamento di Michael, sia in America che durante il suo ritorno a casa, non è rassicurante: ha più volte deluso le aspettative di Tommy, e la sua ambizione sembra talvolta dipingerlo come disposto a voler spodestare il suo trono, se fosse necessario. Ma la crisi del protagonista ha radici di gran lunga più profonde, e le sue reazioni a queste incomprensioni sono soltanto le crepe di una rottura ben più grande.

Ed è proprio riguardo a questo che la quinta stagione di Peaky Blinders rivela, in un solo contesto e in maniera quasi paradossale, i suoi picchi più alti e al tempo stesso le sue possibili problematiche. Si è trattato di puntate, infatti, incentrate molto (forse troppo) su Tommy e che – nonostante l’indubbia qualità della loro costruzione – hanno sacrificato un’analisi più approfondita degli altri personaggi, relegandoli (con la sola eccezione di Arthur e Linda) in una zona d’ombra e di mero contorno. Si pensi a Polly e Ada, il cui arco narrativo non si sviluppa se non per conseguenza più o meno immediata delle azioni di Tommy, e non arriva mai ad un’analisi o a una conclusione soddisfacente delle loro sensazioni. È come se questi personaggi fossero dei meri spettatori delle vicende in corso che soltanto di rado svolgono azioni decisive, anche se queste stesse vicende stanno sconvolgendo la loro vita.

Questo tipo di messa in ombra, si diceva, è dovuto proprio all’attenzione costante riservata al personaggio interpretato da un Cillian Murphy tanto perfetto da aver permesso alla serie di non soffrire di questa scelta rischiosa fatta in un contesto così pieno di personaggi e di azione. La messa in scena dei tormenti e della crisi di Tommy Shelby è stata gestita splendidamente, permettendo allo show di compensare alcune mancanze con una raffigurazione esistenziale e a tratti poetica di un uomo inseguito da ogni tipo di trauma, immerso nell’ombra di una vita passata ad evitare e, soprattutto, a procurare la morte.

La regia e la fotografia sono state gestite benissimo: in ogni secondo di questa stagione si avverte la sensazione che Tommy abbia ormai oltrepassato il limite. Più il suo potere e la sua sfera d’influenza aumentano, più la sua umanità e la sua moralità toccano il fondo, relegandolo in un oblio emotivo che l’ha svuotato di ogni possibile emozione. Non è un caso che, nei momenti di maggiore distacco dalla realtà, egli riesca ad interagire con una Grace in carne ed ossa; un fantasma che, invece di inserirsi nella realtà, cattura Tommy nella sua dimensione tetra e fittizia, rendendogli seducente e invitante il pensiero della morte stessa.

Mai come in questa stagione, infatti, il nostro protagonista ha contemplato così tanto l’idea del suicidio, che aleggia silenziosa ma opprimente dietro ogni suo tormento. Soprattutto, la morte appare a Tommy come un rifugio che egli pensa di non meritare: “killing is a kindess” viene spesso ripetuto nel corso delle puntate, perché morire sarebbe adesso un destino fin troppo benevolo per chi, come i Peaky Blinders, ha vissuto oltrepassando ogni limite morale per la conquista di un potere spietato.

Oh, and also, Shelby… drink less.

Se la morte è una gentilezza, a Tommy non resta che continuare a perseguitare con freddezza e strategia questo potere, che chiama a sé nemici sempre più subdoli e temibili. L’avvento del fascismo ha permesso allo show di introdurre uno degli antagonisti più interessanti dell’intera serie: Oswald Mosley, il fondatore dell’Unione Britannica dei Fascisti, interpretato da uno straordinario Sam Clafin. Nel mostrare la nascita dell’insidioso seme del fascismo, la propaganda di Mosley, inizialmente infervorata da un feroce patriottismo, ha ben presto rivelato le intenzioni ripugnanti e reazionarie dell’uomo, permettendo a Steven Knight di utilizzare la sua retorica per gettare uno sguardo trasversale e non troppo velato anche agli ultimi sviluppi del mondo contemporaneo.
Inoltre, la gestione del villain nelle sue interazioni e dialoghi con Tommy si è rivelata uno degli aspetti meglio riusciti nella stagione, in quanto l’uomo condivide con il protagonista molti tratti distintivi. Entrambi, freddi e composti, sono brillanti e strategici, silenziosi manovratori di equilibri e di potere. Tuttavia, è evidente che Tommy provi ripugnanza per quest’uomo, per il suo fanatismo spietato, per l’immoralità e la brutalità nascoste dietro la sua compostezza e i suoi ideali.

Ovviamente, un villain tanto subdolo non poteva esser eliminato facilmente: le ultime due puntate della stagione brillano per quanto riescono ad essere avvincenti nella costruzione della strategia di Tommy, stroncata all’ultimo da una disattenzione di Finn tanto ingenua da risultare poco credibile. Tuttavia, una rappresentazione tanto trascinante dell’epilogo di questa quinta stagione rende perdonabile la poca credibilità di questa disattenzione (dopotutto, non è da dare per scontato che il piano di Tommy sia stato rovinato proprio da quest’episodio).

È da sottolineare come – nonostante qualche inevitabile ed eccessiva superficialità – la stagione riesca a concludersi ricomponendo i numerosi scenari aperti in sole sei puntate (un numero davvero troppo piccolo per le numerose sfaccettature di questa serie), spazzando via i possibili dubbi che sarebbero potute affiorare durante la visione della prima parte della stagione alla luce di così tanti elementi messi in scena. Sarebbero infatti davvero troppe le vicende da analizzare che non possono trovare spazio in questa sede e che, soprattutto, hanno trovato poco spazio nella stagione stessa; ma il concludersi di questa annata dà senza dubbio l’impressione che gli elementi affrontati nella quinta annata avranno modo di essere pienamente sviluppati nella sesta stagione, specialmente dopo una conclusione tanto aperta, drammatica e trascinante, piena di sorprese e di ritorni inaspettati.

In definitiva, questa quinta stagione di Peaky Blinders affronta molte sfide rischiose con coraggio e, nonostante la presenza di qualche superficialità di troppo, riesce a raffigurare le vicende dei malviventi di Birmingham senza perdere nulla del fascino caratteristico dello show, rinnovato dalle innumerevoli novità scatenate dal contesto storico che sta per impattare nella loro vita turbolenta. Il felice incontro fra gli elementi più familiari della serie (immancabili le scene in slow-motion accompagnate da brani musicali graffianti e moderni) e i nuovi avvincenti meccanismi scatenati dalla sceneggiatura continua a far brillare Peaky Blinders di luce propria, aprendo la strada a una sesta stagione che ha tutta l’impressione di voler continuare sotto il segno della qualità.

Voto: 8
Peaky Blinders – Stagione 6
Dopo quasi dieci anni dal suo esordio, questa primavera ha visto la messa in onda della sesta ed ultima stagione di Peaky Blinders, l’iconica serie BBC/Netflix creata da Steven Knight. Ambientata nell’arco di tempo che intercorre fra il 1919 e il 1935, lo show ha saputo accompagnarci in un percorso incredibile, donando sempre più complessità al suo protagonista. In queste sei stagioni abbiamo visto la trasformazione di Thomas Shelby e di tutto ciò che gli ha permesso di diventare il potente imprenditore e politico che abbiamo lasciato alla fine della scorsa stagione.

Stay away from the devil.

Le numerose sfide e i pericolosi giochi di potere che Thomas e la sua famiglia hanno affrontato negli anni li hanno sempre posti contro nemici temibili e sanguinari, la cui pericolosità cresce parallelamente al potere conquistato da Thomas. Tuttavia, mai come in queste ultime due stagioni Tommy si è visto costretto ad affrontare un nemico tanto potente, diabolico e spaventoso come è l’insorgere del fascismo, che si staglia come un’ombra nera e violenta sulla famiglia Shelby e sul resto del paese.

Se, nella scorsa stagione, questo era incarnato principalmente nella figura di Oswald Mosley (interpretato da un bravissimo e terrificante Sam Claflin), in questa annata la presenza del fascismo e l’enorme potere e sostegno che ha conquistato permea l’atmosfera generale del paese e, soprattutto, di casa Shelby. Tale potere, così forte e oscuro, ha condotto Thomas sull’orlo del baratro nel finale della quinta stagione, quando il tentativo fallito di uccidere Mosley ha portato – forse per la prima volta – il protagonista a dubitare di se stesso e della sua perenne capacità di essere sempre un passo davanti agli altri.

Il ruolo da talpa affidatogli da Churchill in persona sembra sempre più spinoso e difficile da portare a termine ed è inevitabile chiedersi cosa potrebbe mai inventarsi adesso per abbattere una forza in ascesa così grande e violenta. Nonostante la presenza di queste figure così diaboliche, Peaky Blinders non dimentica mai di dipingere il suo protagonista come un uomo dall’anima nera e dannata che si è spinto ormai troppo oltre in termini di moralità per poter vivere senza essere perseguitato da nemici e da demoni interiori. A questi nemici adesso si è aggiunto anche Michael, che lo ritiene responsabile della morte di Polly – una scelta narrativa purtroppo inevitabile a seguito della triste scomparsa di Helen McCrory – e aggiungendo così al quadro generale un’altra minaccia e un altro peso nel cuore nero di Tommy che, adesso, ha perso anche l’unica persona con cui riusciva a condividere la parte più autentica di sé. La sceneggiatura ha fatto un lavoro delicato e davvero ben fatto nel riproporre, tramite i ricordi e i pensieri di Tommy, alcune scene e frasi pronunciate da Polly, contribuendo ad onorare il suo ricordo e a mantenerla sempre presente anche in questa ultima stagione.

I have no limitations.

Nonostante la pericolosità degli individui che invadono la quotidianità del protagonista, il vero nemico di Thomas Shelby, fin dal principio, è se stesso. La crescente complessità del suo personaggio è sempre stato il maggior punto di forza dell’intera serie e quest’ultima stagione ha preferito concentrarsi principalmente sull’interiorità di Thomas, donandoci sei episodi che, in questo senso, hanno davvero svolto un lavoro incredibile.

A differenza delle precedenti stagioni, infatti, il ritmo di quest’ultima annata è più lento e tutta l’attenzione è rivolta all’analisi introspettiva del protagonista. Thomas sa bene di aver raggiunto da tempo un punto di non ritorno: la sua feroce ambizione ha dimostrato di non aver alcun limite così come la sua sottile intelligenza e l’incredibile capacità strategica gli hanno permesso di raggiungere presto le vette del potere. Ma ogni passo verso questo potere è stato parallelamente segnato dal sangue e dalla perdita di quelle poche persone che Tommy ha davvero amato, rendendogli sempre più difficile redimersi e diventare l’uomo “migliore” che avrebbe voluto diventare. È un processo che è partito nella seconda stagione con la morte di Grace e che raggiunge il suo culmine in quest’ultima, in cui sembra che il diavolo si sia davvero insinuato nella casa e nella mente di Thomas, portandogli via infine anche la piccola Ruby. Il tema della maledizione è sempre stato presente nella serie e nella mente del protagonista: il suo spingersi oltre ogni limite per ottenere il potere (di cui il famoso zaffiro maledetto di Grace è divenuto il simbolo) ha un prezzo da pagare, e questo prezzo è il dolore, la perdita, la solitudine. Non è un caso se molte delle scene di questa stagione girate in casa Shelby si siano soffermate più volte sull’immagine di Grace e sul suono del suo respiro, come a sottolineare che la maledizione che ha portato via la donna non ha ancora finito di agire e si sta insinuando con ancora più incisività nella casa e nella mente di Thomas. Ma se, nella seconda stagione, Tommy ha cercato di trovare nel ciondolo di Grace il responsabile di questa maledizione, adesso il protagonista sa bene che è inutile cercare altrove: Thomas stesso è lo zaffiro maledetto. Egli non può fare altro dunque che sopportare le oscure conseguenze delle sue azioni e guardare impotente come queste condizionino la vita di tutti coloro che lo circondano.

L’episodio “Sapphire” mette in luce brillantemente tutto questo, imponendosi come uno degli episodi più oscuri e significativi dell’intera serie. I rimandi al passato, la perdita di Ruby e, infine, la scoperta del male incurabile di Thomas lo portano a un punto di non ritorno, immergendolo letteralmente nell’oscurità mentre è circondato dai nazisti e dal dolore. L’interpretazione di Cillian Murphy è sempre stata magnifica, ma in questa stagione l’attore sembra aver superato se stesso proprio per come è stato capace di guidare il suo personaggio in questi ultimi e cruciali episodi, confermando ulteriormente che Thomas Shelby è ormai una delle figure più complesse e affascinanti dell’attuale scenario televisivo.

The only person who could ever kill Tommy Shelby is Tommy Shelby himself.

Le ultime puntate della stagione sono principalmente dedicate alle scelte e alle azioni finali di Thomas e alla resa finale con Michael. La consapevolezza della morte imminente ha permesso a Tommy di liberarsi di gran parte dell’artificiosità della sua vita e del suo status e di ricongiungersi nuovamente alle sue vere radici, ai rituali del suo sangue gypsy, ai cavalli e alla semplicità di una vita che non aveva da diversi anni.

Più legato ai morti che ai vivi, Thomas compie i suoi ultimi passi con la stessa fredda intelligenza di sempre (che gli permetterà di vincere anche lo scontro con Michael), ma con un animo ormai diverso e, paradossalmente, più libero di quanto fosse prima di conoscere il suo destino: nel sistemare la sua eredità e nel prepararsi a morire, il protagonista si libera finalmente di se stesso e dei suoi demoni. Il colpo di scena finale e la possibilità di vivere ancora non cancellano il fatto che, almeno in parte, Thomas Shelby è davvero morto: è morta quella parte maledetta di sé che non riusciva a trovare pace, e che avvolgeva nell’oscurità tutto ciò che incontrasse. Insieme al senso di colpa per la perdita di coloro che ha amato di più (Grace e Polly), nell’epilogo di questa serie, l’anima nera di Thomas Shelby brucia lasciando nuovo spazio vitale in cui il protagonista avrà la possibilità di ricostruire se stesso. Questa nuova possibilità di vita è rappresentata dal cavallo bianco che Tommy cavalca nella splendida scena finale, che contrasta con il cavallo nero che cavalcava invece nella prima puntata dello show.

Could there be a sadder ending, eh?

Se l’attenzione e la cura dedicate al percorso interiore del protagonista hanno dato luogo ad una stagione indubbiamente di alto livello, sono molti gli elementi rimasti in sospeso o che sono stati un po’ sacrificati in questa stagione che ha visto, per questo, meno azione e meno giochi di potere. Questa scelta, che normalmente sarebbe stata problematica, diventa ragionevole se si tiene in conto che Steven Knight si occuperà della realizzazione di un film sui Peaky Blinders ambientato nei burrascosi anni della seconda guerra mondiale: è facile immaginare che alcuni di quegli elementi non affrontati in questa stagione (primo fra tutti, la guerra contro i nazisti) avranno modo di essere esplorati nel film. Così come è facile immaginare che la new entry Duke Shelby (Conrad Khan), che in questa stagione ha sofferto di cambi un po’ troppo repentini, avrà più spazio nel film. L’unico elemento negativo e poco entusiasmante di questa stagione riguarda proprio la resa dei conti finale con Michael, che è risultata forse un po’ affrettata e priva di quella tensione che in genere accompagna i momenti di azione dello show.

Per concludere, pur non trattandosi di un finale definitivo a causa del film in arrivo, l’epilogo di Peaky Blinders coglie nel segno e chiude il cerchio di un ottimo percorso che non ha mai perso nulla delle sue caratteristiche più positive. Steven Knight ci ha regalato una stagione incredibile che ha saputo scavare nell’animo nero del suo protagonista, reso indimenticabile dall’interpretazione magnetica di Cillian Murphy. Non tutto è perfetto, ma le scelte narrative e stilistiche di questa stagione si sono rivelate adatte per una più che degna conclusione di una serie tanto iconica.

In attesa del film, non ci resta che salutare i nostri Shelby sussurrando: in the bleak midwinter…
 
Voto: 8/9
ARCHIVIO RECENSIONI