
A giudicare da questa sontuosa premiere in due parti la risposta è decisamente affermativa: Mr. Robot non sembra aver neanche lontanamente esaurito il suo potenziale, continuando a fare della perfetta amalgama di scrittura e messinscena – non a caso entrambi curati dallo stesso Esmail, che quest’anno ha scritto e diretto tutti gli episodi – il suo maggiore punto di forza.






Infine, anche Angela vive nel discrimine tra la maschera di ostentata sicurezza che esibisce all’esterno e una realtà fatta di solitudine e corsi motivazionali; il pragmatismo che la porta a rimanere alla Evil Corp a discapito di quello in cui ha sempre creduto la mette in una posizione speculare rispetto a quella di Darlene, disposta a tutto pur di non rinunciare ai suoi ideali e proprio per questo altrettanto vicina al suo nemico. Il ritratto delle due donne, come quello delle personalità di Alderson, si compone così grazie a similitudini e contrasti, andando a tratteggiare personaggi femminili sempre più autonomi sul piano narrativo e terribilmente umani, forti e fragili al tempo stesso.
Giunti alla fine di questi primi 80 minuti è ancora difficile immaginare quale direzione prenderà il racconto – molti sono infatti i nuovi personaggi introdotti e ancora tutto da chiarire il ruolo di Tyrell –, ma senza ombra di dubbio “Unmask” ha dimostrato l’ottima tenuta dello show, che quest’anno, complice l’onnipresenza di Esmail, potrebbe entrare ufficialmente nell’olimpo dell’high quality tv.
Voto 2×01: 8½
Voto 2×02: 8-

Il racconto della scorsa stagione ha avuto come nucleo principale l’affair Elliot/Mr. Robot, ovvero capire quale fosse la realtà, chi rispondesse davvero all’appellativo di Mr. Robot e, contemporaneamente, cosa si nascondeva dietro il complotto ordito ai danni della Evil Corp – soprattutto per il singolo protagonista. Una volta svelato il segreto dell’instabilità mentale di Elliot e cosa l’abbia traumatizzato nell’infanzia, la serie di Sam Esmail si trova ora a doversi inventare di nuovo, a costruire un’architettura che prenda gran parte del lavoro fatto lo scorso anno per trasformarlo in un’altra cosa, di cui non capiamo ancora bene le sembianze.
I think about you a lot, Elliot. I think about that night, when we became gods.

Questa volta, la scena si apre con un flashback su Leslie e Mobley, quando il primo mostra la sala giochi di Coney Island ad uno dei membri della ancora non esistente fsociety: una sorta di mondo parallelo, a suo modo distopico rispetto a tutto il resto, in cui il tempo, la vita e la morte si sono fermati, il posto perfetto per farne la loro futura sede. Sembra quasi una profezia, ma le parole di Leslie che descrivono il posto come nexus of all evil in the universe annunciano cosa accadrà da lì ad un tempo imprecisato, perché da quegli stessi locali, in una lunga notte per il capitalismo mondiale, l’emblema del male verrà praticamente annullato. Tuttavia, in proporzione rispetto alla lunghezza dei vari episodi, poco tempo è stato dedicato alle conseguenze di questo punto di volta, con la scelta di lasciare ancora off screen l’altro volto fondamentale, ovvero Tyrell. In questo senso, la concentrazione maggiore rimane infatti su Elliot, la cui presenza pare invadere tutto il resto, uno strano quanto bellissimo fenomeno per cui il personaggio interpretato da Rami Malek sembra ingigantirsi sempre di più, fino ad integrare in sé non solo il suo alter ego, ma il pubblico, la telecamera, lo schermo. La panoramica su New York non a caso prosegue con lui e su di lui, ne segue i prolungamenti, fino al filo rosso del telefono e continua con la perenne rottura della quarta parete, con i pensieri di Elliot/Mr. Robot che ci parlano direttamente.
Now it’s time to get rid of you.

Ecco che l’intero episodio acquista uno spessore nuovo e non diventa una semplice variazione sul tema della sua instabilità, ma il motivo per cui la sua scrittura frenetica diventa fondamentale, aggancio con una realtà che ha contorni sempre più sfumati. L’unico modo per scampare alla completa identificazione con Mr. Robot, per non “crashare” lasciandosi andare all’errore fatale interno del suo sistema, è accettarlo come suo dio, e quindi accettare che lui stesso, la persona che vorrebbe eliminare qualsiasi forma di società organizzata e di proiezione astratta esterna, ha involontariamente ricreato il medesimo sistema per se stesso.
‘Cause you and me are a lot more alike than you think, Elliot.

Anche perché il suo ritorno a capo della fsociety si prospetta essere il grande tema della stagione, assieme all’attesa della loro prossima mossa; inoltre, l’omicidio di Leslie, il terrore di Mobley e i suoi dissapori con Darlene, sono argomenti solo accennati ma che verrano certamente sviluppati da qui in poi. A questa strada si unirà inoltre l’altro nuovo volto della stagione, l’agente dell’FBI Dominique DiPierro che, tassello dopo tassello, si mette sulle tracce della fsociety mentre ci viene mostrata come l’ennesimo pezzo alienato ed instabile che mancava alla collezione, affetta da insonnia cronica e conseguente abuso di caffè.
But the minute you remove emotion from this… You’ll do just fine.

Mr. Robot, anche in una puntata sottotono in termini di racconto, anche quando preferisce focalizzarsi sulla gestione e descrizione dei suoi elementi, riesce a mettere in scena un episodio bello, complesso e affascinante, che pare promettere una sempre più vicina virata verso nuovi intrecci.
Voto: 7½

Il grande margine di miglioramento di questa serie – che già alla prima stagione è riuscita ad ottenere un consistente consenso di critica e pubblico – risiede nelle nuove possibilità di questa seconda annata, finalmente sganciatasi da alcune gabbie che hanno caratterizzato la struttura narrativa durante lo scorso anno. In particolare, il rapporto tra Elliot e Mr. Robot durante la prima stagione è stato il cuore di un racconto che ha insistito un po’ troppo sul mistero, arrivando a giocare con lo spettatore più di una volta, ripercorrendo in maniera pedissequa il modello Fight Club. Ora che questo nucleo narrativo è risolto, il loro rapporto può diventare il modo in cui la serie racconta cose finalmente originali e descrive in profondità la personalità del protagonista.
I wish I remembered him better.

La sequenza iniziale dell’episodio dimostra tutte le qualità di questa seconda stagione: il flashback d’apertura ritorna sulla nascita di Mr. Robot mostrando a tappe la vestizione dell’eroe, dalla giacca, alla maschera, fino al suo discorso (molto interessante il riferimento al downloading illegale, forse la prima volta che capita in una serie televisiva), concentrando l’attenzione sul ruolo di Elliot nell’organizzazione poi capitanata da Darlene. Quando Elliot prende la parola la maschera diventa la sola possibilità per poter pronunciare per la prima volta le cose più audaci, quelle più incoscienti; diventa un luogo sicuro in cui nascondersi per assestare i colpi più violenti e/o scorretti. D’altronde accade così con tutte le maschere, in quanto garanzie di anonimato e de-responsabilizzazione, e per questo oggetti estremamente pericolosi, come sottolineato dalla perfetta e inquietante scelta musicale che chiude la sequenza.
Asking for help was never Darlene’s strong suit.

I monologhi di Elliot sono anche il modo per guardare il mondo esterno attraverso il filtro della personalità disturbata del protagonista, e in questo mondo non fa eccezione Darlene, da Elliot analizzata fin nei minimi particolari, dai piccoli gesti quotidiani fino ai comportamenti più estremi.
La sequenza di dialogo prima e di sesso poi tra Darlene e l’altro hacker, con sotto “Hey Hey, My My” di Neil Young, mostra nei particolari l’incubo in cui sta precipitando la donna, in cui l’FBI sta pian piano prendendo terreno e minaccia di distruggere il suo sogno di rivolta. Solo Elliot può aiutarla, solo il supereroe di famiglia sostenuto dalla fiducia di un’intera comunità può ribaltare una situazione che sembra disperata.
But I’ve had all those things before, and they never made me happy. That’s why I love you.

Angela è il personaggio più empatico di tutti: non un genio come Elliot, non una visione come Mr. Robot, non una donna mossa da ideali eccezionali come Darlene, bensì un individuo normale, comune, in cui lo spettatore si può facilmente identificare. Lei è il personaggio attraverso cui è più semplice avvertire la portata distopica di Mr. Robot, quello su cui sono più forti gli effetti del mondo esterno, dai corsi motivazionali perennemente nelle orecchie, alle varie maschere che indossa sul lavoro.
Joanna invece sembra arenata su un terreno troppo legato alle sorti del marito: nonostante si tenti di mostrare la donna in un nuovo ambiente, con un nuovo compagno con il quale cerca di condurre una vita diversa, sarà solo con l’arrivo di Tyrell che anche la sua storyline acquisterà senso.
A game to end all games.

Nel finale però arriva il colpo di coda e il ritorno circolare lì dove l’episodio era iniziato: Elliot, questa volta senza maschera, decide di aiutare la sorella e hackerare il sito dell’FBI. Consapevole di star commettendo un crimine, non ha bisogno di nascondersi, ma sembra arrivato per la prima volta a una maturità tale che gli consente di prendere una decisione consapevole.
Mr. Robot porta avanti una storia coraggiosa seppur imperfetta, che quest’anno sta tentando di alzare la posta in gioco e di raccontare qualcosa di davvero nuovo, emancipandosi dai modelli cinematografici a cui in maniera finanche ostentata ha cercato di legarsi nel corso della prima stagione.
Voto: 8

In linea con quanto mostrato finora, i dissidi interiori dei protagonisti e il loro continuo cambio di prospettive sono il motore portante della trama, e qui ad emergere è uno dei topoi fondativi della serialità, rielaborato in chiave spiazzante tenendo fede allo stile della serie: la doppia identità/personalità dei personaggi e la loro incapacità di trovarvi un punto d’unione.

Dal loro ultimo incontro nella prima stagione, i due amici d’infanzia hanno optato per l’isolamento volontario: se Elliot ha scelto una routine artificiale per proteggere, vanamente, se stesso e gli altri dal conflitto della sua psiche, abbiamo visto Angela diventare una dipendente della Evil Corp e assumere un atteggiamento freddo e calcolatore, ma basta un breve incontro perché le difese di entrambi crollino e mettano alla luce le fragilità di due giovani uniti nel dolore e la paura reciproca di mostrare le proprie debolezze all’altro.

Il focus on più potente e originale di tutto l’episodio, se non dell’intera stagione finora, viene riservato all’agente Dom DiPierro e all’enigmatico Whiterose, che si rivela essere nientemeno che un importante ministro del governo cinese. Dom era stata presentata finora come l’alter ego di Elliot al servizio del governo: come lui, è una delle migliori nel suo lavoro ed è in grado di vedere e intuire dettagli che i suoi colleghi non sono in grado di cogliere, ma è altrettanto incapace di relazionarsi con gli altri se non simulando atteggiamenti socialmente accettabili. Il suo ingresso nella sala degli orologi del ministro Zhang rievoca la caduta di Alice nella tana del Bianconiglio e porta due individui tanto simili nelle loro patologie quanto distanti nel ruolo che ricoprono a trovare un’affinità intima mai provata prima.

L’apparente complicità ha però vita breve e, come ormai ci ha insegnato Esmail, l’epilogo non può che essere violento e repentino. Non è difficile intuire che dietro al massacro della squadra di Dom ci sia Whiterose, incapace di accettare i punti deboli mostrati dalla controparte Zhang, e il bagno di sangue lascia molti punti interrogativi sull’incerto passato della donna e sulla doppia identità del ministro, alleato della Evil Corp e, al tempo stesso, capo della Dark Army.

L’uomo che ha aiutato Elliot a uscire dall’apatia si rivela essere l’alfiere dell’umanità corrotta che il protagonista cercava ostinatamente di debellare all’inizio della prima stagione, e questa scoperta genera ulteriori dubbi nella sua fragile psiche: può un uomo esercitare il Bene e il Male in egual misura? Spetta a Elliot tornare ad assumere il ruolo di hacker vigilante per smascherarlo? O dovrebbe concentrarsi solamente sul suo grande progetto rivoluzionario? A togliere Elliot dal dubbio ci pensa proprio Ray, mostrandogli la sua natura violenta e costringendolo a prendere una scelta che, com’era stato per Fernando, condizionerà il suo cammino da qui in avanti.
I dubbi e le polemiche nati al suo ritorno sullo schermo sembrano ormai solo un brutto ricordo e con questo episodio Mr. Robot riafferma la sua volontà di stupire rimanendo fedele ai propri canoni ma senza essere mai uguale a se stessa. Arrivati quasi a metà stagione, non sembra destinato a spegnersi il suo potere ipnotico che la rende uno dei prodotti più affascinanti della serialità contemporanea.
Voto: 8

La gratitudine nei confronti di Mr.Robot, però, è solo la fine di un lungo percorso emotivo e viscerale che ha interessato il personaggio di Rami Malek fin dal pilot dello show. Il rapporto tra i due è stato la matassa da cui si è dipanata la trama della serie: una relazione disturbata, frutto perverso del caos che imperversa nella mente del protagonista e dei traumi familiari che ha affrontato nella sua infanzia.
Proprio per questo motivo, il geniale artificio narrativo orchestrato dall’autore per aprire questo sesto episodio risulta essere uno dei segmenti più riusciti dell’intera serie, a dimostrazione della follia e dell’ambizione che ha sempre caratterizzato Mr. Robot, quegli stessi elementi che nella prima stagione sono stati concorrenti nel determinarne il successo.
– Because it’s one for Alderson and…
– Alderson for one?


Eyes up, son.

This place needs a name.


Da questo punto di vista “eps2.4_m4ster-s1ave.aes” si discosta dagli episodi che l’hanno preceduto, entrando finalmente nel vivo della trama che vede coinvolta la fsociety e il Dark Army, senza dilungarsi troppo sulla descrizione dei personaggi.

In definitiva siamo di fronte al miglior episodio della stagione finora, forte delle due anime indissolubili che hanno portato Mr.Robot nell’olimpo delle serie contemporanee: la rappresentazione realistica del mondo della criminalità informatica e l’utilizzo della mente disturbata di Elliot come filtro percettivo per raccontare la sua storia. Non tutto è perfetto – la sequenza iniziale è un po’ troppo lunga, molti dei personaggi secondari sono ancora insignificanti –, ma il risultato è comunque un’ottima ora di televisione. Con il plot twist relativo al rapporto tra le due personalità di Elliot, la speranza è che nella seconda metà della stagione la trama avanzi più velocemente e che la serie liberi tutto il suo potenziale.
Voto: 8

Quello che nella prima stagione era un gioco legato al concetto di identità ha qui allargato i suoi orizzonti ad una dimensione spaziale che conduce ad un ulteriore livello quell’analisi sul “caos” che la serie porta avanti fin dagli inizi. Non più chi è Elliot/Mr. Robot, ma dov’è Elliot/Mr. Robot? Al gioco in stile Fight Club della precedente annata si sostituisce quello alla Matrix (con connotati meno fantascientifici e più psicologici), volto a mascherare la vera realtà dietro una costruzione (in questo caso mentale) rassicurante, dietro la quale convincersi di una vita regolare e priva di ogni pericolo.






Voto: 7-

I’m 27 and I’ve got a six-figure salary at the biggest clongomerate in history, and I’m just getting started. That’s who I am.

La scelta del casting di scritturare attori con occhi grandi e sporgenti sembra una riflessione scherzosa, invece è stata particolarmente azzeccata: la regia fatta di primissimi piani (e di figure spesso decentrate nell’inquadratura) danno quel giusto senso di disagio che stanno provando in quel momento i protagonisti, messi alle strette e in un angolo, osservati in modo implacabile e giudicati per le loro azioni.
Perfetto per inquadrare il cambiamento della bionda è il dialogo che sostiene con un amico di suo padre al bancone del bar, dove non esita a rispondere per le rime, rinfacciando la sua posizione lavorativa e il suo stipendio a sei cifre: una cosa che l’Angela che abbiamo conosciuto non avrebbe mai fatto, ma che ormai è stata forgiata per dire bugie e lanciata verso una vendetta che non vede l’ora di portare a termine.

“Benvenuto nella tua vita, non c’è modo di tornare indietro” sono le prime parole della canzone e fanno accrescere l’ansia per un destino che sembra già segnato per tutti, specie per Elliot, che anche non comparendo mai in questo episodio è sempre in qualche modo presente a incombere con le sue scelte sulla vita degli altri protagonisti.
“I’m sure we can figure something out.”
“I already have.”

Spettacolare la sezione di puntata che la vede protagonista insieme agli altri tre membri della F Society, quando, eccitati dalla conference call che hanno ascoltato, si dimenticano di essere in casa di qualcun altro e non controllano il GPS che li avrebbe avvertiti del ritorno a casa della legittima proprietaria. La comparsa sulla soglia di Susan Jacobs è una delle innumerevoli variabili che possono modificare/rovinare un’equazione fin lì riuscita bene. La serie ha anche quindi la capacità di tenere tesa una situazione ai limiti del thriller, però con alcune derive assurde che l’hanno sempre contraddistinta, come il caso che decide di dare una mano a Trenton facendo scivolare la Jacobs e mettendola ko.

Ma raramente le situazioni in Mr. Robot si risolvono per il meglio, e la maledizione che sembra perseguitare gli Alderson – “niente finisce mai bene” – continua a infierire su Darlene con l’ultimo plot twist della puntata. Nemmeno Cisco è affidabile, e anche lui tradisce la fiducia della ragazza vendendola ai cinesi della Dark Army. La mazzata con cui Darlene probabilmente gli spacca la testa è la stessa che prendiamo noi metaforicamente, sottolineato anche dal fatto che manca qualunque accompagnamento musicale ai titoli di coda: uno stordimento che continua anche quando il nero ci inghiotte, facendoci riflettere su come ognuno di noi, in fondo, sia irrimediabilmente solo.

Curiosi di vedere come si evolverà la situazione del protagonista, non possiamo che essere felici e tranquilli di una cosa: anche senza di lui, Mr. Robot funziona.
Voto: 7/8

Molte sono state infatti le scelte operate da Sam Esmail che hanno suscitato critiche e perplessità, e tra queste spicca proprio quella di mantenere Elliot in una posizione di isolamento rispetto al cuore delle vicende per un numero consistente di puntate, a cui si lega l’altrettanto discusso plot-twist del settimo episodio. Si è indubbiamente trattato di una decisione molto coraggiosa, che, pur avendo avuto delle innegabili ricadute sul ritmo della narrazione e sull’attrattiva dello show, si è imposta – come ha espresso alla perfezione lo stesso autore – in quanto tappa obbligata per portare avanti in modo coerente il percorso del protagonista. Dopo la grande rivelazione circa l’identità di Mr. Robot e l’esito ambiguo dell’hack ai danni di Evil Corp era infatti di fondamentale importanza che Elliot intraprendesse un cammino d’introspezione volto alla riconciliazione delle diverse parti del suo frammentato io; un percorso che sembrava essere finalmente giunto a un punto di svolta grazie all’intervento di Ray, ma che si rivela essere ancora ben lontano dalla conclusione.




In definitiva, “eps2.7_init_5.fve” non fa che confermare i punti di forza e le debolezze di questa seconda annata di Mr. Robot, che si è finora rivelata sicuramente meno coesa e coinvolgente dell’esordio ma al tempo stesso coraggiosa in molte delle sue scelte. In attesa dell’ultimo trittico di episodi, a cui spetterà l’arduo compito di sciogliere i numerosi nodi della trama che restano ancora in sospeso, non possiamo che dare al progetto di Esmail la fiducia che si merita, nella speranza che il finale riesca a soddisfare adeguatamente l’attesa.
Voto: 7

È quindi un sollievo assistere a questo decimo episodio, un tassello quasi di passaggio eppure costruito e gestito con una fluidità che mai è stata messa in scena quest’anno; dopotutto, la certezza che ha sempre spinto a continuare la visione riguardava la fortissima identità stilistica della serie, e in “eps2.8_h1dden-pr0cess.axx” tale punto di forza emerge più che mai.


È come se l’aver liberato Elliot dalla trama troppo chiusa in se stessa che lo riguardava avesse messo tutti i pezzi al loro posto, con il protagonista della serie a rivestire il ruolo di protagonista e i comprimari ad aiutare lo svolgimento della storia senza monopolizzarlo in modo eccessivo. Come dichiara spesso Esmail, il personaggio di Rami Malek è sempre stato il perno centrale di Mr. Robot; averlo messo in disparte per quasi una stagione intera può anche essere stato un passaggio obbligato, ma c’è da dire che la serie ha guadagnato molta più confidenza semplicemente tornando alla sua struttura originale.

Dopotutto, l’inserimento dell’FBI nel quadro generale era un’idea interessante e sensata, ma la storia di DiPierro si è invece rivelata una caccia personale alla verità, ricca di spunti interessanti (si pensi all’incontro con Whiterose, a quello con Angela) che purtroppo non sono stati sviluppati ed approfonditi a dovere.

Dopotutto, anche la svolta di “eps2.5_h4ndshake.sme” aveva come tema il rapporto con l’”amico” di Elliot, ed in questo caso tale relazione viene portata su un piano più significativo: non è solo il protagonista che ha dimostrato la sua totale fiducia nei confronti di chi guarda, ma si tratta anche di Sam Esmail che affida la risoluzione di un enigma al pubblico, perfettamente consapevole del modo in cui le svolte dello show vengono spesso previste con largo anticipo. Parliamo quindi di un passaggio metanarrativo, opposto a quello del settimo episodio (in cui si cercava di sorprendere il pubblico) ed efficace nel portare il rapporto della serie con i suoi spettatori ad un passo successivo, riuscendo a raccontare qualcosa in un discorso che sembrava aver esaurito tutto il suo potenziale.
È quindi con rinnovata fiducia che ci si avvicina alla conclusione di questa seconda stagione: gli errori commessi in precedenza non possono essere ignorati, ma questo episodio sembra aver recuperato parte dello smalto che aveva reso la prima annata così affascinante, così significativa. Col ritorno di Elliot in scena anche Mr. Robot pare essersi rimessa in carreggiata, dimostrando di aver ancora qualcosa da dire nonostante gli scivoloni di un’annata difettosa.
Voto: 8

Have you ever cried during sex?

Dopo l’assurdo test a cui Angela è sottoposta da un’inquietante bambina, la bionda si trova al cospetto di White Rose, che la sottopone ad ulteriori domande con messaggi criptici, che però portano tutti verso un unico concetto: quello di fede. Non è la prima volta che in Mr. Robot viene affrontato l’argomento, e di certo non sarà l’ultima: il credere in qualcosa più grande di noi, che secondo alcuni ci porterà tutti verso la salvezza e un mondo nuovo, è un concetto che permea tutta la narrativa della serie, partendo proprio dall’amico immaginario di Elliot – cioè noi – che in primis deve distinguere quello che è reale da quello che non lo è, per credere e avere fede nella cosa giusta.
Ma come domanda sinistramente White Rose ad Angela, che cosa è veramente reale? Su cosa ci basiamo per definire e scindere quello che è realtà da ciò che non lo è? Vista la reazione di Angela nel finale, probabilmente White Rose le ha mostrato qualcosa che neanche noi – quando e se ne verremo a conoscenza – dimenticheremo facilmente.
Alexa… are you alone?

Infatti la sequenza che la vede protagonista nel letto di casa sua è toccante e malinconica al punto giusto per sottolineare come sia praticamente impossibile battere i potenti e il denaro, che avranno sempre la meglio su qualsiasi tipo di impegno per trovare la verità. Il dialogo con il robot casalingo scava in profondità il personaggio della DiPierro, rendendo ancora più marcato quel senso di impotenza verso la vita “normale” di tutti i protagonisti della serie. L’impegno nel trovare la fede – anche qui – in un credo più grande, sia esso hackerare la più grande banca del mondo o catturarne i responsabili per fare venire a galla una verità che potrebbe sconvolgere gli equilibri mondiali, non basta per sconfiggere la solitudine che pervade la vita di tutti, costretti a rapportarsi con delle macchine per trovare delle risposte che a volte sono più soddisfacenti e illuminanti di quelle di un essere umano, pulite da ipocrisie del tutto inutili all’intelligenza artificiale di un robot.
Defeat… can be still profitable.

Di certo alla fine tutti i nodi verranno al pettine e anche i più “tardi” sull’argomento capiranno al cento per cento quanto sta accadendo, ma ciò non toglie che queste sequenze appesantiscano e non poco il racconto, portando lo spettatore a uno sforzo di comprensione che deve essere fatto per forza di cose per capire tutto il resto. Ovviamente le sequenze sono girate e scritte alla perfezione, facendo trapelare tutto il marcio che ci sta dietro, quando la sopravvivenza di un agglomerato bancario diventa molto più importante della vita delle persone. Si spera che con l’ultimo episodio della stagione si faccia un po’ più di chiarezza sulla questione, per non lasciarci un anno con il dubbio di non aver capito con precisione tutto quello che è successo.
Mind awake, body asleep.

Ora che anche noi, suoi amici invisibili, sappiamo la verità (tutta?), ci è più semplice entrare in empatia con Elliot/Mr. Robot e seguirli nei loro progetti, nelle loro decifrazioni, nei colpi di scena a cui le loro scoperte ci portano. E forse quest’ultimo colpo di scena non è stato preparato alla perfezione; è stato infatti un po’ telefonato nelle scorse puntate, che hanno disseminato troppi e chiari indizi del fatto che prima o poi un redivivo Tyrell sarebbe ricomparso. Ed è proprio qui che, in effetti, potrebbe nascere il dubbio: Tyrell è veramente lì oppure è un’altra follia della mente di Elliot? La sequenza in taxi è costruita molto bene, non facendo dare mai una risposta chiara al taxista alla disperata domanda di Elliot che gli chiede se effettivamente ci sia anche Tyrell in macchina.
Certo, con una puntata sola a disposizione staremo a vedere se anche questo nodo sarà sciolto, ma al momento il giudizio su questa scelta non può che rimanere sospeso, con una domanda che aleggia su tutta la puntata: che cos’è per noi la realtà?
A un passo dalla fine di questa seconda stagione, Mr. Robot continua con i pregi e i difetti di tutta l’annata (con alle spalle di questo, a giudizio di chi scrive, l’episodio migliore della stagione e uno dei migliori dell’intera serie), lasciandoci – com’è giusto che sia – con un enorme punto di domanda sulla testa in vista degli ultimi minuti.
È comunque un buonissimo episodio, che ci fa riflettere su come i concetti di realtà e fede siano talmente soggettivi da risultare, molte volte, incomprensibili se non a noi stessi.
Voto: 7½

È a malincuore che decretiamo il fallimento di una stagione che aspettavamo tantissimo, soprattutto dopo una prima annata che, pur con qualche difetto, qualche faciloneria e con la tendenza a complicarsi la vita per il solo gusto di farlo, aveva avuto la capacità di “bucare” pubblico e critica diventando un vero e proprio fenomeno culturale.
Non è un caso che nella seconda stagione lo showrunner Sam Esmail abbia avuto l’insolita libertà di dirigere tutti gli episodi, libertà probabilmente complice di questa deludente annata. Naturalmente, una delusione così cocente è legata a doppio filo ad aspettative altissime, dovute ad uno standard settato l’anno scorso da pubblico e critica che in questa seconda stagione la serie ha dimostrato di non riuscire a eguagliare (proprio quando in tanti si aspettavano un ulteriore rilancio da questo punto di vista). Si è trattato di una stagione che per gran parte della sua durata non ha avuto alcuna trama unificante, lasciando i personaggi in balia di eventi scollegati e in molti casi rilevanti solo nell’economia del singolo episodio; un lavoro che irrita ancora di più se si considerano le indiscusse capacità del suo autore nel mettere in scena situazioni narrative nella maniera più originale. Tale spropositata dose di talento quest’anno è stata organizzata senza la dovuta disciplina, con una gestione a tratti coraggiosa ma al contempo strafottente verso la coerenza narrativa e, in alcuni casi, nei confronti dell’intelligenza e il coinvolgimento dello spettatore a cui dovrebbe rivolgersi.
We’re both too smart to allow pettiness to dictate our actions. We’re better than that.

Veniamo subito alla questione principale: Tyrell. Era il personaggio più atteso, quello con più possibilità di affiancare Elliott nella narrazione principale e durante i primi episodi ci è stato totalmente negato, adottando una soluzione narrativa abbastanza tipica volta a far crescere l’attesa per la sua entrata in scena. Purtroppo questa decisione ha finito per autosabotarsi nel momento in cui è stata tirata troppo la corda, rimettendo in scena il personaggio non a metà stagione (che già non sarebbe stato poco), ma solo negli ultimi due episodi. Se la gestione del “caso Tyrell” è stata negativa, la soluzione finale è stata se possibile peggiore: il rapporto con Elliot era ormai inesistente data la scomparsa del personaggio per un’intera stagione, tuttavia alla storia serviva che Tyrell avesse un piglio importante sul racconto e sul protagonista, ragion per cui vengono di sana pianta inventati segreti per permettergli di ricattare Elliot; segreti sul suo privato, indizi importanti per lo spettatore che però non verranno mai svelati (guarda caso), rivelandosi così esclusivamente espedienti schiavi di necessità narrative.
Tyrell, you did what needed to be done.

Cosa rimane della sequenza dell’interrogatorio vista solo la settimana scorsa? Perché dedicare quasi metà episodio a una questione per poi disinteressarsene completamente nel season finale? Il problema però non si riduce solo a questo: nel finale Angela riceva la telefonata di Tyrell, il quale le dà informazioni circa l’oscuro progetto in atto, ma soprattutto fa riferimento allo sparo a Elliot. Angela reagisce come se nulla fosse successo, come se sapesse tutto nei minimi particolari, mantenendo una calma svizzera che non si sposa minimamente con tutto ciò che di lei abbiamo visto durante la stagione. Angela davvero sapeva tutto? Se così fosse non si spiega perché tutti i suoi comportamenti fino a questo momento siano andati nella direzione opposta. Non sapeva nulla? Allora vuol dire che la sua reazione durante alle parole di Tyrell è frutto di un lavaggio del cervello al quale lo spettatore non è stato invitato.
By the end of this day, you and I are gonna be best friends.

La tensione accumulata è altissima, grazie anche a dialoghi scritti in maniera molto precisa e ficcante. La risoluzione però risulta talmente insensata da rovinare ciò che di buono è stato mostrato nei minuti precedenti: nel finale infatti Dom si gioca l’ultima carta a sua disposizione accompagnando Darlene in una stanza in cui è presente un “wall of evidence” che mostra come l’FBI avesse già scoperto tutto da tempo, comprese le relazioni tra Darlene, Elliot, Angela e Tyrell. Con questo radicale twist però viene a crollare tutto ciò che la serie ha raccontato sull’agente dell’FBI durante gli ultimi episodi, soprattutto relativamente alla sua ossessione per la risoluzione del caso e all’impossibilità di venirne a capo, che l’ha gettata in un’abissale confusione esistenziale.
Durante l’investigazione Dom e Santiago sono apparsi sempre spaesati rispetto ai legami tra l’FSociety e i vari attentati e questo improvviso ribaltone appare decisamente implausibile, una soluzione insensata che a essere generosi può essere definita di comodo, sebbene eccessivamente forzata.
I’m glad she’s dead. Fuck her and her fetus corpse.

Fino a prima di questo episodio la sua storyline era la più debole senza ombra di dubbio, ma anche quella meno rilevante; anche in questo caso però Sam Esmail ha voluto complicarsi la vita con la sua marca autoriale (come sceneggiatore) tentando un plot twist vertiginoso che dal fantasma di un Tyrell senza corpo porta fino a Scott Knowles, CTO della E-Corp, la cui moglie è stata strangolata dallo stesso Tyrell nella scorsa stagione. Il batti e ribatti tra Joanna e Scott passa dal ricatto alla violenza, situazione nella quale la donna si trova perfettamente a proprio agio, tanto che non è azzardato ipotizzare che si sia fatta picchiare proprio per poterlo successivamente ricattare e incastrare. Il problema è che, nonostante sia sempre un piacere vedere la magnetica Stephanie Corneliussen in scena, questa linea narrativa risulta assolutamente non necessaria, e a conti fatti leva tempo ed energie ad altre questioni che avrebbero meritato più spazio e tempo per essere approfondite. Se non altro il personaggio di Joanna ha un’utilità extradiegetica: la donna è la perfetta sintesi della serie (almeno in questa stagione), ovvero una un contenitore formidabile, distinto da una superficie esteticamente pregevole e accattivante, ma al contempo con una sostanza inconcludente, non necessaria e spesso priva di una propria coerenza.
Are you…
you distracting me right now?

Non è chiaro quale sia il ruolo di Elliot in tutto il piano, non si capisce mai cosa sia questa Fase Due, sempre nominata ma trattata come una sorta di macguffin, un elemento importantissimo per i personaggi ma irrilevante per gli spettatori. Questi ultimi, però, dopo non essere riusciti a capire nulla del misterioso piano su cui ruota la stagione, legittimamente smettono di interessarsi, soprattutto se il legame più importante e risolutivo dovrebbe essere tra un personaggio protagonista (Elliot) che di questo piano non ricorda nulla e un altro – ex co-protagonista – (Tyrell) che dice di sapere tutto ma che per dieci episodi su dodici non si è mai visto.
Alla fine di questo insidioso tunnel interpretativo, tutte le domande sul plot principale rimangono senza reali risposte e l’intero discorso si sposta (scappatoia spesso utilizzata dagli autori) sulla focalizzazione interna alla testa di Elliot. Ciò che conta alla fine è la descrizione della sua patologia, in barba a tutto il filone anticapitalista su cui la serie è stata forgiata e quest’ultima stagione costruita. Purtroppo però anche il personaggio principale e la sua esistenza disfunzionale appaiono estremamente aridi, vittime di una coazione a ripetere narrativa che, oltre ad essere sempre uguale a se stessa, finisce per scadere nella banalità.
Elliot sapeva oppure no del piano 5/9? E della Fase Due? Se sì, siamo davvero disposti a credere a un rinsavimento così improvviso da portare il protagonista a ricordarsi tutto? Il punto cruciale riguarda però lo sparo: davvero gli autori credono che il pubblico tema per la morte di Elliot? Chiunque ovviamente esclude questa eventualità, senza contare che, dopo il plot twist che ha chiuso il settimo episodio, anche la concretezza di Tyrell e del suo sparo appartengono alla sfera del dubbio, tanto che lo spettatore è portato a non credere più a nulla, compresa la serie stessa.
Si chiude nel peggiore dei modi quindi la seconda stagione di Mr. Robot, un’annata sbranata dalle aspettative in essa riposte, ma forse soprattutto dal voler sparare troppo in alto finendo per dimenticarsi alcuni fondamentali senza i quali la serie ha perso gran parte della sua consistenza.
In conclusione possiamo dire che questa seconda stagione ha avuto dei picchi di altissimo livello, sia nei monologhi (quello di Elliot sulla religione del terzo episodio, ad esempio), che nella messa in scena (l’inizio del sesto episodio) e nell’uso delle musiche (in questo finale si è distinta “Hall of Mirrors” dei Kraftwerk), ma è stata assolutamente fallimentare nell’organicità e nella gestione della coerenza interna.
A conti fatti Mr. Robot è una serie che funziona alla grande nel micro, con frammenti audiovisivi di una potenza estetica senza pari nella televisione contemporanea, mentre risulta ben meno raffinata nel macro, obbligando lo spettatore e il critico a chiedersi cosa la serie voglia davvero raccontare oltre ad alcune stupende sequenze che da sole hanno di sicuro tantissimo da dire, ma la cui somma non pare essere altrettanto efficace.
L’appuntamento è per la terza stagione, nella speranza che Sam Esmail riesca a sviluppare un racconto più coerente, meno legato all’esibizione formale e più capace di mettere in comunicazione la narrazione con l’estetica attraverso cui è veicolata.
Voto episodio: 5
Voto stagione: 6½

Una delle maggiori differenze produttive tra prima e seconda stagione è stata la volontà del creatore di accentrare su di sé i poteri forti della serie, firmando quindi regia e sceneggiatura per ogni episodio; cosa che si ripropone invariata anche quest’anno e che quindi, almeno sulla carta, preannuncerebbe che lo stile narrativo e il modo di intendere proprio la serie Mr. Robot sarà molto più simile a quanto abbiamo già visto. Eppure questo primo episodio, complice sicuramente essere appunto il primo, ha una fortissima coerenza interna e, pur senza tradire stile e forma cui siamo abituati, riesce a costruire una sensazione di percorso, di storia, facendo intravedere un buon prologo per la stagione.
A whole new world will be born.

Your eyes… you never try to look away.
L’ingresso di Angela come parte attiva e motivatissima all’interno del piano sembra essere esattamente il luogo in cui riporre le speranze per il resto della stagione, e una volta in più vediamo come la crescita del personaggio sia anche una delle direttrici principali della storia. Grazie alla descrizione puntuale e mai banale del rapporto tra Elliot e la ragazza, fondato su una conoscenza molto profonda e che ha legami indissolubili come la condivisione dello stesso trauma (oltre che l’amore latente che li unisce), ad oggi Sam Esmail può usare ciò che ha sapientemente seminato per dare concretezza e plausibilità alla “unique” condition di Elliot/Mr. Robot, giocando ancora una volta sulla dualità ma tramite la gestione di Angela, ovvero l’unica persona a poter a sua volta capire con un solo sguardo chi ha davvero di fronte. Ma questo vale a sua volta per lei che, in base a chi ha davanti, cambia modi, espressione, quasi voce, replicando in forma non patologica la dualità del suo migliore amico; perciò conserva (e preserva) la sua versione tenera quando è in compagnia di Elliot, ma si trasforma diligentemente quando invece parla e agisce con Mr. Robot. Non a caso, il momento del dialogo con quest’ultimo e poi il monologo finale di Angela sull’autobus sono tra i momenti migliori di questo episodio.
You’re a shitty brother, you know that?

In questo senso e se la gestione della narrazione continuerà così, sembra di vedere in embrione un modo concreto e forse funzionante per ritrovare organicità nel racconto, la via per garantire l’unione tra il micro e il macro, tra la dualità Elliot/Mr. Robot e il racconto di un capitalismo spinto, quel presupposto sociale che la serie aveva promesso di raccontare. Il micro sono Elliot e Darlene, il macro sono Mr. Robot e Angela. E nel bellissimo “walking monologue” c’è esattamente questa struttura, sintetizzata dalla sola “parte” di Elliot: in un montaggio di immagini televisive, o prese dalle passate stagioni, o ancora più in generale dal mondo, la fantomatica società e i suoi beceri estremismi collassano su un unico soggetto mandante, Elliot/Mr. Robot, colui che si identifica come la causa di quella moria e del buio che vede intorno a sé. La stessa persona che cercava nella solitudine del suo appartamento un modo per aiutare le persone che gli stavano intorno (come dimenticare la sua raccolta di cd) è colui che sente di essersi spinto troppo oltre e troppo in fretta; per Mr. Robot invece, troppo poco e troppo lentamente. Da qui vediamo innescarsi il gioco allucinante e affascinante di una sorta di meta-sabotaggio che finalmente, dopo una stagione di attesa, intravediamo (giusto per rimanere cauti) in una forma più compiuta, tonica, e speriamo anche solida.

Il ritorno di Mr. Robot è insomma promosso a pieni voti, in forma e in sostanza, e ci fa sperare in una ritrovata concretezza nella storia e nel racconto. Il punto è sempre: quanto durerà? Nel bene e nel male però, possiamo almeno dire che “eps3.0_power-saver-mode.h” traghetta senza perplessità quantomeno al prossimo episodio.
Voto: 8

Il termine undo – letteralmente “disfare” – indica la possibilità di tornare indietro ed eliminare un’azione compiuta; molto utilizzata come funzione informatica, viene trasposta dalla mente di Elliot nella sua vita, proponendosi la possibilità di tornare sui suoi passi e fermare la distruzione della Evil Corp prevista dal piano da lui stesso ideato. Il personaggio di Rami Malek è quindi anche in cerca di redenzione dalle azioni compiute da e con Mr.Robot, la personalità meno inibita e più crudele che abita la sua geniale mente.
You know when you fuck something up and you wish you had the power to hit “undo”?
È proprio sul rapporto tra i due che si è sempre appoggiato il nucleo narrativo della serie, soprattutto dalla ormai celebre scoperta della natura dell’identità di Mr.Robot, rappresentante non solo di un lato del carattere poliedrico di Elliot ma anche replica della figura paterna assente nella sua infanzia. A questo punto dello show sappiamo che la situazione è radicalmente mutata rispetto alle scorse annate: Elliot è alla ricerca del controllo, è molto più consapevole di sé e della sua schizofrenia e sa come limitare considerevolmente i danni che la sua controparte potrebbe – ancora – causare. Non per niente il desiderio di tornare indietro è una volontà profonda dell’animo di Elliot, una spinta tanto forte e trascinante da permettergli di rivedere la realtà sotto un’altra prospettiva; esempio chiaro di questo processo cognitivo sono le riconsiderazioni sulla Evil Corp, tornata ad essere “E Corp” e privata di quel filtro percettivo, proprio del protagonista, che tendeva a vedere la multinazionale come maligna.

Ci sono però almeno altri due incontri/scontri importanti nell’episodio che riguardano Mr.Robot ai quali non si può non fare un accenno. Il primo è quello con Darlene, altro personaggio che ha privilegiato di un ottimo percorso di crescita nella serie: la donna sta ancora subendo le conseguenze psicologiche della morte di Cisco e rinnega ogni nuova implicazione nei piani di Elliot/Mr.Robot, anche se l’accordo con l’FBI sottolinea ancora un legame forte con il fratello e la volontà di tenerlo al sicuro, forse più da se stesso che da altri.
Il secondo confronto ha luogo tra il personaggio di Christian Slater e Krista, la psicologa di Elliot. In questo caso viene alla luce in maniera ancora più limpida la condizione frustrata e costretta di Mr.Robot che accusa la donna di essere complice della sua “prigionia”. Gloria Reuben è molto brava a trasmettere, attraverso il suo personaggio, la sensazione di impotenza e paura per il lato oscuro della mente di Elliot, una personalità che ha bramato di conoscere fino a ricredersi una volta che essa si è scatenata. Mr.Robot è un leone in gabbia che scalpita per essere libero di portare a termine il suo piano; Elliot è chiamato a combatterlo e a tenerlo a freno, oltre che a provare a rimediare alle sue azioni. Sembra dunque che la terza stagione si fonderà proprio su questo scontro.
Everybody knows crazy can be sexy.

Don’t mistake my generosity for generosity.
Nella multipolarità del plot di Mr.Robot non può non mancare una visione dall’alto, un approfondimento sulla situazione economica e geopolitica mondiale conseguente agli eventi narrati. Dal particolare dei personaggi coinvolti al generale del mondo che cambia intorno a loro, Sam Esmail non dimentica la confusione in cui versa la E Corp e i legami con il governo cinese, che tanto sono stati importanti l’anno scorso. Il creatore della serie, che continua a curare sia la scrittura che la regia, pone l’accento sulla diffusione della moneta virtuale e sulla svalutazione del dollaro, una situazione che porta Zhang, Whiterose e la Cina stessa, unico paese a non adeguarsi alle nuove regole economiche, ad avere il coltello dalla parte del manico nel processo che dovrebbe portare all’attuazione della fantomatica fase 2.
Difficile ancora dire se la stagione in corso possa essere più coesa e meglio architettata della precedente che, a questo punto della programmazione, non aveva ancora trovato enormi difetti, ma se il buongiorno si vede dal mattino Mr.Robot è sicuramente incamminato sulla via giusta per poter essere ancora quella “novità inaspettata” che è stata in passato. Con il suo stile unico e i suoi personaggi ben caratterizzati, lo show di Sam Esmail sta dimostrando di poter dire ancora la sua nel panorama televisivo affollato in cui ci troviamo.
Voto: 8

A voler muovere una critica ad Esmail, forse un po’ stantia ma su cui bisogna comunque riflettere, c’è la questione del tempismo, ovvero la decisione da parte del creatore di posporre di molto le spiegazioni a quanto visto nella scorsa annata, nella quale si era deciso di farci vedere tutto dalla parte di Elliot/Mr. Robot senza dare possibilità concreta di decriptare fino in fondo quanto uno interagisse con l’altro, o almeno agevolare la nostra comprensione del piano che i due (?) stavano portando avanti.
3×03 – eps3.2_legacy.so
Per capire quindi dove sia stato Tyrell Wellick per la maggior parte del tempo e come fosse riuscito a sparire completamente dalla faccia della terra, dobbiamo arrivare al terzo episodio della terza stagione. Così come nella mente di Whiterose, allo stesso modo in quella di Sam Esmail c’è sicuramente un disegno ben preciso di come debba evolversi la narrazione della serie Mr. Robot; il problema sta nel fatto che lo crediamo necessariamente sulla fiducia. Dall’altra parte è innegabile avere la sensazione che questo sia una sorta di momento riparatore più che una vera e propria mossa di sceneggiatura ben pensata, una specie di “dovere morale” perché ci si è spinti troppo oltre nella confusione di mosse e personaggi e si debba necessariamente porre rimedio in qualche modo. Probabilmente è solo una visione cinica e che tiene ancora ben presenti le difficoltà di capire più di qualcosa nella seconda stagione, perché, isolando la critica e volendoci concentrare sulla puntata, è allo stesso modo innegabile che “eps3.2_legacy.so” sia un ottimo episodio. E lo è al di là della funzione meramente esplicativa, in quanto rivela che, se si vuole, Mr. Robot può fare a meno di Mr. Robot e di avere sempre al centro della scena il vero protagonista della serie, ovvero il bipolarismo del suo personaggio principale.

3×04 – eps3.3_metadata.par2

Nel provare a guardare dall’alto la situazione generale della storia, vediamo due fazioni. Da un lato ci sono coloro che sono consapevoli delle dinamiche, ovvero Angela, Irving e Mr. Robot; dall’altro lato Darlene, Elliot e Tyrell, benché in questo caso ciascuno di loro sia su un piano molto diverso dall’altro, e soprattutto con visuali e coinvolgimenti diversi. Significativo è infatti che l’episodio si concentri in larga parte su Darlene, che sta vivendo questa strana e dimidiata situazione tra essere informatrice dell’FBI, arrabbiata con la parte di Mr. Robot del fratello e la volontà invece di aiutare Elliot, provando a scoprire in cosa è coinvolto quando si trasforma in “Mr. Hyde”. E infatti, è nel seguire il fratello che scopre il grande tradimento di Angela e Mr. Robot: lei che si era sentita in colpa fino a quel momento di quanto fatto con e per lui, quell’omicidio che le pesa sulla coscienza assieme al crollo economico mondiale di cui si sente responsabile, termina con quella che appare come una resa. L’episodio si apre con Darlene che dal suo portafogli salva solo una polaroid e, specularmente, si chiude con l’abbandono della stessa in casa di Elliot, un gesto di estremo saluto al ricordo che li ha fatti muovere in prima istanza, ovvero l’amore per la loro famiglia.

Mr. Robot per il momento continua a non deludere, riuscendo ad essere più lineare e chiaro nella narrazione, sebbene ci sia ancora qualcosa da sistemare, come se mancasse ancora quel quid accattivante ed incisivo che avevamo visto pienamente nella prima stagione. Una cosa è certa però: ora possiamo dire di stare in fiduciosa attesa.
Voto 3×03: 8
Voto 3×04: 7½

È soprattutto una questione di stile: l’estetica innovativa e le qualità artistico-tecniche di rilievo dietro ogni singolo episodio hanno contribuito al successo di critica e di pubblico che in questi anni ha consacrato Mr. Robot come una di quelle serie che segnano un’epoca televisiva, nome ricorrente in quella ideale lista di serie televisive da non poter evitare se si vuole comprendere a pieno l’evoluzione storica del medium. Il merito di questo grande successo, come già accennato, va soprattutto al suo creatore, mente brillante e innovatrice, nonché ottimo regista; la sua impronta di autore completo è sempre riconoscibile e chiaramente identificabile, soprattutto in episodi come “runtime-error”, nel quale la sua sapienza e bravura si armonizzano con il racconto e i personaggi, raggiungendo vette fuori dal comune.
This is a zero-sum game. Accept the truth.

“Runtime-error” non è però solo una bellissima esaltazione delle potenzialità stilistiche della serie, ma anche un episodio chiave che rimescola le carte in tavola e porta i protagonisti sull’orlo di un precipizio dal punto di vista psicologico e relazionale. Le due svolte principali della trama, entrambe riguardanti Elliot, si pongono esattamente a metà e alla fine della puntata, come a dividere le due grandi macrosequenze in cui è divisa: dapprima il personaggio di Rami Malek che cerca di fermare la Fase 2 prima di essere allontanato dall’edificio, e in seguito Angela che ha il compito di fare esattamente l’opposto, con le conseguenze etiche e morali che ciò comporta.
I’m just on autopilot, running my routine. Did my daily program crash?

Angela… Is there something you wanna tell me?

Sam Esmail firma quindi uno dei migliori episodi di Mr. Robot, uno di quelli che saranno ricordati a lungo non solo come segmento narrativo cruciale della storia dello show, ma anche come modello di sperimentazione e innovazione registica in televisione.
Voto: 9,5
Note:
– L’episodio in America è andato in onda senza inserimenti commerciali per favorirne la fruizione.

Senza dilungarsi sulle differenze tra questa stagione e la seconda, per le quali si può fare riferimento alle precedenti recensioni nonché a gran parte della critica, è interessante invece notare quali siano i punti di forza di questa terza annata di Mr. Robot – siano essi tematici o più tecnicamente legati allo svolgersi della narrazione – e come essi si ritrovino in misura pressoché identica in questi due episodi. Si parla ovviamente del tempo come tematica (ma anche del suo utilizzo da un punto di vista tecnico) e della rappresentazione del disordine della personalità di Elliot, che solo con questa terza stagione sembra aver trovato la sua più completa (e grave) rappresentazione.
You remember the, uh, Enchantment Under the Sea dance in the first “Back to the Future” movie?
Entrambi gli episodi, come si diceva, presentano una struttura grossomodo simile: dopo un cold open temporalmente avulso dalla vicenda che si sta svolgendo con i personaggi principali, la storia in tutti e due i casi riprende esattamente da dove si era interrotta (“eps3.5_kill-pr0cess.inc” riparte col dialogo tra Elliot e Angela, “eps3.6_fredrick+tanya.chk” con Elliot davanti alle notizie degli attentati) per poi seguire, con un ritmo convulso, le vicende di tutti – o quasi – i gruppi dei personaggi fino alla conclusione, in cui si rivela un nuovo fondamentale tassello di tutta la storia raccontata fino ad ora.

“Back To The Future” è forse una delle rappresentazioni cinematografiche più note per quanto riguarda il tema del tempo e la possibilità di cambiare il passato, con tutto ciò che questo comporta; il discorso del signor Alderson ha ben altre conseguenze sulla piccola Angela (l’idea di dare una spinta a Elliot in caso di necessità è proprio ciò che la donna ha fatto, spingendo però l’identità sbagliata), ma a livello tematico è interessante notare come si continui a tornare al tema del “what if”. Cosa succederebbe se si potesse cambiare il passato e annullare, proprio come con un computer, un evento e tutto ciò che ne è conseguito? Già la season premiere di quest’anno ci aveva dato qualche accenno a riguardo, e non è ancora chiaro se o quando Mr. Robot prenderà questa piega fantascientifica; ciò che conta è che Angela, la persona che più ha subito l’influenza di Whiterose, è la stessa che continua a far riferimento a questa possibilità, come dimostra il suo discorso ad Elliot e la scena davanti al televisore, in cui mostra ad una sconvolta Darlene quanto sia facile riavvolgere il presente e tornare al passato per cambiare il futuro.

Three more minutes gone. [...] Instead of fighting, maybe it’s time we talk.

Il combattimento tra le due identità in “eps3.5_kill-pr0cess.inc” raggiunge il suo punto più alto, una sorta di scontro finale senza esclusione di colpi: ciascuna delle due parti lotta strenuamente per il proprio obiettivo, incapace di comprendere l’altra perché impossibilitata ad ascoltarla. È infatti l’incomunicabilità tra i due la novità più interessante di questa terza stagione, che ha di nuovo unificato il punto di vista dello spettatore e quello di Elliot, confinati entrambi nella condizione di chi capisce solo una parte di ciò che avviene; e tuttavia, da spettatori privilegiati quali siamo, viviamo un continuo cambio di punti di vista, da interno a esterno, che ci porta così a “sentire” ciò che Elliot prova durante i glitch e al contempo ad osservarlo da fuori quando si aggredisce da solo, quando si auto-sabota per impedire ad una parte o ad un’altra di avere il sopravvento.
L’escalation del contrasto tra Elliot e Mr. Robot ricalca il climax dell’intero montaggio della parte centrale, in cui assistiamo all’evoluzione sempre più tesa delle altre situazioni, che esplodono tutte insieme proprio con la grande rivelazione dell’episodio: sono stati tutti manipolati, anche coloro che pensavano di essere parte del vero piano. Dominique, Mr. Robot, Angela, Tyrell, persino lo stesso Santiago (che nell’avvisare la madre di non uscire potrebbe aver fatto un grosso errore, ma con questo sappiamo di certo che nemmeno lui fosse a conoscenza dei 71 edifici) hanno corso per tutta la puntata verso un obiettivo che si è rivelato essere tutt’altro; e a contrastare questa concitazione, di eventi e di montaggio, troviamo le scene con Whiterose, caratterizzate da un’insolita calma e tranquillità, che incute ancor più timore nel momento in cui si capisce che lei, e solo lei, è la detentrice di tutte le risposte che stanno (e stiamo) cercando.

“What in God’s name do you hope to gain?”
“The opportunity to teach a lesson.”
Arriviamo quindi alle grandi scoperte degli episodi, in cui vengono svelate parti molto importanti sul piano contro la E-Corp, ma con risultati leggermente diversi. Se nel sesto episodio la scoperta del diverso obiettivo dell’attentato è il punto di arrivo di una costruzione quasi perfetta, che ha il suo apice nel volto sconvolto di Elliot davanti ai televisori, la settima puntata porge il fianco a qualche problema non tanto per l’episodio in sé, bensì per il quadro generale di tutta la storia.

Dall’altra parte, tuttavia, è inevitabile constatare che una motivazione simile, che più prosaicamente potrebbe essere definita come un pissing contest tra potenti, sarebbe a livello narrativo un po’ troppo debole per sorreggere il peso di tutte queste puntate, tutti gli eventi accaduti e i vari twist, e questo indipendentemente da dove ci porterà la storyline della centrale di Whiterose e tutto ciò che la riguarda.
“eps3.5_kill-pr0cess.inc” e “eps3.6_fredrick+tanya.chk” sono due episodi notevoli di Mr. Robot, che evidenziano le grandi abilità di Sam Esmail non solo come regista, ma anche come creatore di tensione narrativa, che va oltre le pur ovvie capacità di scrittura. Come si diceva all’inizio, la gestione della tensione appare quasi come quella di una partitura musicale, ed è sotto questi aspetti che la figura di Esmail nel suo complesso emerge quasi come quella di un direttore d’orchestra, fisicamente presente a dettare il movimento di ogni singolo strumento in contemporanea; questo, alla luce della scorsa, confusa stagione, è probabilmente il più grande successo di questa annata. Rimane il dubbio per quanto riguarda le motivazioni di Whiterose, ma è troppo presto per valutarne le conseguenze; per ora possiamo dire che con questi due episodi Esmail ha mostrato quanto ci sia ancora da dire su Mr. Robot e soprattutto in quanti nuovi modi sia possibile raccontarlo.
Voto 3×06: 8½
Voto 3×07: 8-

Come già pronosticato dal protagonista nel primo episodio, Elliot assiste in prima persona al disfacimento dei suoi piani rivoluzionari per mano di Whiterose subito dopo l’innesco della Fase 2. New York è diventata una città in stato d’assedio, con i soldati dell’esercito che presidiano le strade e un coprifuoco imposto ai cittadini, mai così diffidenti verso il prossimo e impauriti per la loro incolumità: la rivoluzione della Fsociety è diventata un nuovo mezzo di controllo delle masse da parte dei potenti, nuovamente intoccabili e imbattibili grazie alle manipolazioni della Dark Army. Questo è senza dubbio il culmine del discorso sviluppato in questa stagione sulle insanabili contraddizioni della lotta individuale contro i pilastri della società, ma in “eps3.7_dont-delete-me.ko” questi elementi vengono lasciati sullo sfondo per fare spazio al vero cuore tematico dell’episodio, ossia la lotta interiore di Elliot per sopravvivere al senso di colpa e ritrovare l’umanità perduta dopo anni di apatia autoindotta.

Elliot è pronto a togliersi la vita per liberarsi dal peso delle sue responsabilità e cancellare definitivamente la presenza di Mr. Robot, ma ad interrompere i suoi propositi suicidi è il fratellino di Trenton, smarrito dopo la morte della sorella e le ingiurie alla sua famiglia per le accuse di terrorismo, che lo costringe a passare la giornata con lui in una New York ferita e paralizzata. Nel dare conforto a un giovane smarrito, Elliot ritrova quella parte di sé ancora fanciulla che era rimasta abbandonata anni prima, mettendo da parte la sua consueta visione del mondo cinica e analitica per lasciare spazio all’empatia e alla compassione. Le ore trascorse con il ragazzino rappresentano per Elliot una sorta di ritorno al passato che può avere conseguenze positive sul proprio futuro, e se negli episodi precedenti i riferimenti a Back to the Future erano velati qui le citazioni si fanno evidenti quando il protagonista, anni dopo la morte del padre, si ritrova in un cinema dove viene proiettato il secondo capitolo della serie. Il fil rouge che collega tutti gli episodi di questa stagione è senza dubbio il desiderio impossibile dei protagonisti di modificare le proprie azioni passate e la consapevolezza che un singolo errore può cambiare irreversibilmente le sorti del mondo, ma in questo episodio Esmail si lascia andare ad un vero e proprio atto d’amore verso il cinema mostrando come, nonostante il disastroso clima politico e sociale dipinto nella serie, nulla possa impedire la partecipazione ad un rito collettivo come la proiezione di un film di culto per le vecchie e le nuove generazioni.

Tyrell Wellick è forse il personaggio più incapace di scendere a patti col capovolgimento della sua condizione: da uomo ai vertici della E Corp a rivoluzionario con manie d’onnipotenza, l’uomo crede di essere tornato al punto di partenza con un nuovo ruolo dirigenziale per poi scoprire di essere solo una marionetta passata da un burattinaio all’altro, una facciata di comodo estromessa da entrambe le fazioni e rimasta sola con il suo dolore per la morte di Joanna. Il dialogo tra Tyrell, Mr. Robot e Philip Price, in cui il capo della E Corp rivela di conoscere i piani del 9 Maggio da prima che venissero messi in atto, pone un ulteriore accento sullo scarto tra le convinzioni dei protagonisti e la realtà dei fatti oltre a rafforzare il lato conspiracy della serie con una tagliente riflessione sul fallimento della rivoluzione: è la collettività, non il singolo, a determinare gli equilibri di potere. Altra marionetta senza più padroni è Angela, il cui collasso psicologico sembra aver raggiunto il punto di rottura definitivo. Abbandonata a se stessa, in un appartamento disastrato con le pareti tappezzate di foto delle vittime della Fase 2, la ragazza è bloccata nel suo desiderio utopico di cancellare le proprie azioni per ricominciare da zero e la sua fobia paranoide diventa specchio di quella dei cittadini americani, privi di fiducia verso le istituzioni che dovrebbero difenderli e convinti che ogni contatto umano costituisca una minaccia alla loro incolumità.

Sam Esmail dimostra ancora una volta, come se ce ne fosse ancora bisogno, di avere una precisa visione d’insieme sul futuro della sua serie e di possedere una poliedricità narrativa che ha pochi eguali nella serialità televisiva odierna. Con questi due episodi Mr. Robot riesce a spaziare dal racconto intimista alla conspiracy story corale senza mai essere banale nelle modalità del racconto e mantenendo vivo il fattore d’imprevedibilità che lo rende uno dei show più addictive presenti oggi sul piccolo schermo.
Voto 3×08: 8½
Voto 3×09: 8

Nonostante lo show sia stato rinnovato per una quarta stagione, “shutdown-r” assume tutti i tratti di un series finale: è limpida, infatti, la decisione di voler portare a compimento un percorso narrativo cominciato tre anni or sono. Oggi quella prima stagione sembra lontanissima, sia per una questione meramente temporale che per la trasformazione della creatura di Sam Esmail in una delle serie più importanti e significative del panorama contemporaneo. Non è difficile, difatti, individuare – ma di certo non lo si farà in questa sede – i motivi per cui Mr. Robot si è imposto nell’affollatissimo parco di prodotti seriali di rilievo, nonostante lo scivolone della sua seconda stagione; è meno banale, piuttosto, capire come questa terza stagione sia riuscita a centrare l’obiettivo di essere sì meno difficile da seguire della precedente, ma allo stesso tempo non meno innovativa o originale, conservando la sua forte identità, da sempre tipica della serie.
I did it because it’s what you would have done.

Questo riavvicinamento è rafforzato dai due colpi di scena principali di “shutdown-r”. Non è tanto sconvolgente scoprire come si ripresenti la totale inaffidabilità di Elliot quando ricordava di essere stato spinto giù dalla finestra, eliminando qualunque possibilità di volontarietà del gesto, quanto era molto meno prevedibile il fatto che fosse stato lo stesso Mr.Robot ad aver aperto alla possibilità di riparare agli eventi del 9 maggio. Eppure è la natura stessa del loro rapporto a giustificare il fatto che entrambe le personalità fanno parte di una sola persona e che, quindi, non siano così diverse o distanti come hanno sempre voluto far credere. Non esiste, infatti, l’uno senza l’altro; una è la parte istintiva e l’altra quella ragionevole, una è quella (quasi) senza scrupoli mentre l’altra ha dei limiti etici invalicabili. Elliot Alderson non è altro che la summa delle due personalità, ognuna con dei pregi e dei difetti conosciuti ma, solo adesso, accettati da entrambe.
I daddy issues che affliggono il protagonista non sono, però, solo una sua prerogativa: anche Angela, personaggio che ha ricevuto un’ottima scrittura durante tutta la stagione, si trova a fare i conti con una scomoda verità. Anche in questo caso gli autori avevano lasciato delle briciole di pane nelle puntate precedenti per portarci a conoscere il rapporto che lega la donna a Price, una relazione che giustifica pressoché tutti i trattamenti “di favore” ricevuti dal personaggio nel suo rapido avanzamento di carriera all’interno della E Corp. La scoperta è devastante per Angela, già compromessa e distrutta dai sensi di colpa per l’attentato multiplo di cui è stata complice, e rimette in discussione tutto quello per cui si è battuta finora, ovvero ottenere giustizia per sua madre.
These next ones… these are for me.

È possibile far tornare indietro il tempo ed evitare la morte di qualcuno pur non essendo Superman? Sam Esmail ci dice di no, che non è possibile ristabilire del tutto lo status quo ante, ma che, per cambiare le cose, bisogna innanzitutto giungere all’accettazione totale di quello che è stato, sopprimendo i rimpianti. Solo con la consapevolezza del passato si può correggere il presente, consci che le cose non saranno mai esattamente quelle che erano prima.
La riflessione dell’autore sul rapporto con la temporalità è profonda e mai banale, nemmeno quando il riferimento a Back To The Future sembra troppo facile e urlato. Mr. Robot si interroga senza pretese su quanto sia difficile accettare e accettarsi in relazione a chi siamo stati e a cosa è successo nella nostra vita e, sempre in questi termini, a come sia difficile trovare un modo per andare avanti senza abbattersi.
I’m here to remember for you

È uno dei temi cardine della fantascienza classica: la tecnologia non può – ancora – surrogare l’essere umano nei suoi rapporti di amore/odio. I ricordi, in tal senso, sebbene molto meglio conservati da una macchina piuttosto che da un cervello umano, per le persone sono il ponte tra passato e presente, fondamentali soprattutto perché dalla loro interpretazione si originano le nostre relazioni quotidiane; essi plasmano la nostra personalità – Mr. Robot che ha il volto del padre di Elliot non è altro che la proiezione dei suoi ricordi in relazione all’interpretazione errata dell’evento della finestra – e plasmano il nostro modo di porci di fronte alle scelte che facciamo quotidianamente.
La terza stagione di Mr. Robot si conclude, dunque, con un episodio molto intimista, che non ci parla di geopolitica o massimi sistemi bensì della necessità di instaurare legami e di riconciliarci con i nostri demoni personali. Attraverso un’intelligente analisi del concetto di tempo – si ricordi anche l’eccellente “eps3.4_runtime-error.r00” che faceva dell’aderenza tra durata del girato e tempo narrativo il suo punto di forza – questa terza annata riporta in primissimo piano lo show di Esmail dopo la tanto discussa seconda stagione.
Non è un finale perfetto, il ritmo cala vistosamente in alcune sequenze, la scena finale che dovrebbe collegare con la già annunciata quarta stagione sembra poco significativa, alcuni personaggi non ricevono un adeguato trattamento; eppure si ha un senso di compiutezza che lascia soddisfatti. Non sono chiari i piani per il prossimo ciclo di episodi ma, come si era già detto, Mr. Robot avrebbe potuto benissimo concludersi con questo “shutdown-r”. E sarebbe stato un ottimo finale.
Voto Episodio: 8½
Voto Stagione: 8

A conti fatti, quindi, conclusa definitivamente la serie, se c’è una cosa che possiamo sostenere senza dubbio alcuno è che di certo a Sam Esmail non è mancato il coraggio.
Nelle quattro stagioni andate in onda, infatti, Mr. Robot è stata una serie capace di rischiare sia sul piano formale che su quello narrativo, spingendo la serialità televisiva verso i suoi limiti, non esitando mai a sperimentare. Se la prima stagione è stata quella della novità, del racconto della rivoluzione dal basso, quella degli hacker e dell’attacco anticapitalista contro i poteri forti, nelle tre annate successive Esmail ha potuto ampliare notevolmente il discorso, facendo della serie un universo narrativo molto più complesso.
Il Golden Globe come miglior serie drammatica vinto dalla prima stagione ha infatti conferito all’autore un credito che ovviamente non aveva inizialmente, tale da permettergli di imprimere una svolta profondamente autoriale a allo show, osando molto di più sulla messa in scena fino a realizzare episodi formalmente estremi e che saranno ricordati per sempre sui manuali di televisione.

Se la televisione è anche qualcosa che deve tenerti incollato allo schermo episodio dopo episodio, che deve farti tornare ad accendere il televisore ogni settimana, allora i twist narrativi risultano molto spesso un espediente fondamentale, quella cosa che dà brio al racconto a rinvigorisce una struttura fatta di pause e accelerazioni, di variazioni sul tema, approfondimenti e avanzamenti narrativi inaspettati. Mr. Robot è stata una serie capace di offrire svolte narrative imprevedibili sin dall’inizio, amplificandone sempre di più il ruolo: si scopre che Elliot e Mr. Robot sono la stessa persona, che gran parte di una stagione era solo la proiezione del protagonista immobilizzato in carcere, che non esistono solo due personalità del protagonista, che Angela è la figlia di Price, che Elliot è stato più volte abusato dal padre e così via. Quando parleremo nei prossimi anni di Mr. Robot non potremo fare a meno di raccontare la capacità di Sam Esmail di tenere insieme un racconto organico, complesso e coerente pur mantenendo un numero e un’imprevedibilità di twist narrativi decisamente fuori dalla media.
Se sul piano narrativo Esmail è andato sempre ad altissima velocità, su quello formale non è stato certo da meno, dando vita a cose così bizzarre da stagliarsi in maniera indelebile nella nostra memoria, come l’episodio quasi interamente girato e narrato come se fosse una sit-com degli anni Ottanta. In generale, ciascuna stagione ha avuto i suoi picchi di sperimentazione, dimostrazioni plastiche di un regista che non solo sa come usare la macchina da presa, ma che ha anche un controllo incredibile del racconto e riesce a fare cose estremamente ambiziose senza perdere il timone della narrazione.

Al termine di una stagione di eccezionale qualità è possibile fare il punto sulla serie, su ciò che davvero voleva dire e sulle capacità del suo autore di intavolare una riflessione non solo politica ma anche teorica, sia per quanto riguarda alcune questioni affrontate nel corso delle stagioni, sia per quanto riguarda la natura stessa della serialità televisiva.
Nonostante inizialmente la serie potesse sembrare un racconto contro il potere, una storia interessata soprattutto a descrivere l’oppressione e la costrizione causate da un certo sistema economico-tecnologico, Mr. Robot con il passare degli anni si è rivelata qualcosa di diverso, affondando sempre di più le radici nella testa del protagonista e facendo in questo modo del lato insurrezionale solo una parte di una riflessione più ampia. La serie, a posteriori, si rivela essere una profondissima analisi di una persona piena di contraddizioni e traumi, un’indagine accurata sulla salute mentale, sui disturbi di personalità, sulle loro cause e sulle modalità migliori per affrontarli.
Il punto di svolta principale da questo punto di vista arriva in un episodio anch’esso particolarmente sperimentale, tutto ambientato in una camera e diviso in vari atti, che nell’ambito di una seduta di terapia fa emergere il principale trauma del protagonista, ovvero gli abusi subiti dal padre che hanno segnato in maniera indelebile il suo equilibrio psicofisico, causa principale della generazione dei suoi alter ego e dei mondi nei quali questi si muovono.

Se c’è una cosa che Mr. Robot non è, è un 10-hour movie, perché non cerca in alcun modo di assomigliare al cinema, pur essendo tra le serie più ambiziose sia dal punto di vista narrativo e formale. Esmail sceglie invece di esaltare i singoli aspetti della serialità televisiva, dando autonomia a tanti episodi e facendo di questi ultimi lo spazio in cui sperimentare, pur rimanendo all’interno di un racconto organico nel quale i momenti di innovazione formale sono spesso essenziali agli obiettivi generali della stagione.
Tutto questo si è tradotto nella quarta e ultima stagione della serie in un vertice creativo abbastanza unico, persino per le abitudini già eccezionali di Mr. Robot: perché la conclusione della stagione riesce a dare senso all’intero percorso dello show; perché l’ultimo e destabilizzante twist finale ricorda come la generazione di mondi narrativi a incastro abitati dalle personalità di Elliot sia stato un espediente perfetto per esplorare le qualità principali della serialità televisiva e in particolare la capacità di moltiplicare e intrecciare storie differenti che ha una testualità così estesa e persistente nel tempo e nello spazio.
Di questo non possiamo che essere grati a Sam Esmail, un autore che si è preso tantissimi rischi anche a costo di perdere milioni di spettatori per strada e di non incontrare (almeno temporaneamente) il favore della critica, ma che così facendo è riuscito a muoversi all’interno delle regole del racconto seriale spostando l’asticella dell’innovazione sempre più in alto, congedandosi con una stagione conclusiva che dà senso a tutto il resto e che invita a riguardare la serie dall’inizio. C’è davvero un modo per concludere una serie migliore di quello di lasciare gli spettatori con la voglia di ricominciare da capo?
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