Ted Lasso – Stagione 1

L’origine del personaggio di Ted Lasso risale però a molto prima della sua messa in onda su Apple TV+: era infatti il 2013 quando appariva sulla NBC con uno spot prodotto dal network per promuovere l’arrivo della Premier League sulla rete. Già allora c’era Jason Sudeikis a interpretarlo – a pochi mesi dalla sua ultima apparizione come regular del cast del Saturday Night Live. Lo spot è esilarante e, in quei pochi minuti, ci sono già tutte le basi della serie: un allenatore di football americano si trasferisce in Inghilterra per allenare una squadra di football inglese, senza però sapere nulla dello sport.
Se però questo concept funziona molto bene in uno spot, per una serie c’è bisogno anche di altro. È infatti dai cambiamenti apportati alla versione seriale che si può vedere il grande lavoro fatto dagli autori, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Ted Lasso che abbandona quell’aura da americano un po’ ignorante e pieno di sé e diventa una figura genuinamente buona. A tratti Ted Lasso può apparire ingenuo per la sua visione del mondo estremamente positiva, ma non è mai ritratto come stupido e il suo punto di forza è indubbiamente l’intelligenza emotiva; egli riconosce i suoi limiti, sa affrontarli, reagisce alle provocazioni in maniera costruttiva, ma allo stesso tempo ha anche un grande bagaglio di difficoltà con cui confrontarsi.

Come nello sketch NBC, Ted Lasso finisce tra le fila di una squadra di Premier League, solo che al posto del Tottenham Hotspur ricopre il ruolo di allenatore del fittizio AFC Richmond. La formazione ha da poco cambiato proprietà, finendo nelle mani di Rebecca Welton (Hannah Waddingham) in seguito al divorzio dall’ex marito, dopo una stagione di estrema mediocrità. L’arrivo di Ted Lasso sembrerebbe indicare il desiderio di scombussolare le cose per provare a riemergere nel massimo campionato inglese, ma dietro le quinte le cose sono molto più complesse (e per non spoilerare nulla, non aggiungiamo altro). Soprattutto nel pilot, Ted Lasso rimette in scena molte delle battute presenti nei due sketch NBC, che sfruttano in maniera fin troppo prevedibile la totale ignoranza dell’allenatore in ambito calcistico. Inizialmente, infatti, la serie non brilla, ma dando un po’ di tempo ai personaggi di crescere e cambiare diventa evidente che Ted Lasso sia qualcosa di davvero speciale e che gli autori abbiano le idee chiare su come gestire tutte le figure presenti nel racconto.
I personaggi della serie partono tutti da archetipi tipici del genere, come la nuova stella egoista o la vecchia gloria che si deve confrontare con il declino, ma Ted Lasso fa un ottimo lavoro nel sovvertire le aspettative, riuscendo anche nel difficile compito di affrontare e problematizzare elegantemente la tipica tossicità del machismo, anche e soprattutto grazie allo sguardo del protagonista. Dei tanti personaggi che popolano la serie, nessuno viene lasciato al caso: dalla nuova proprietaria fino al magazziniere, ognuno ha un arco narrativo ben costruito. Tra le varie figure comprimarie, spicca Keeley Jones, interpretata da Juno Temple, nella parte della compagna della stella dell’AFC Richmond, che da subito si dimostra essere più di una wag ornamentale.

Questo senso di autenticità è meno efficace quando dalle sedute di allenamento si passa alle partite vere e proprie. Se nelle sequenze più ravvicinate l’effetto rimane, con i campi lunghi – anche se per pochi secondi – in cui si vede la formazione scambiarsi la palla o ripartire in contropiede, la netta differenza con i professionisti è evidente, non tanto per i gesti tecnici quanto per l’intensità. Basti pensare che per il recente film italiano Il Campione, alcune scene delle partite girate da lontano sono state velocizzate in post-produzione proprio per cercare di evitare questo effetto, nonostante in campo a interpretare i giocatori della Roma ci fossero quelli del Pisa, all’epoca in serie C.
Ted Lasso – già rinnovata per una seconda e una terza stagione – è una serie da non perdere, non solo per gli amanti dello sport che vogliono rivivere le emozioni del cameratismo nello spogliatoio, ma anche per chi cerca qualcosa di rassicurante ma non per questo banale, una serie feel good arrivata al momento giusto. Di sicuro, dal punto di vista narrativo, Ted Lasso non è nulla di rivoluzionario – dopotutto nel calcio ci sono solo tre possibili risultati – ma è grazie allo splendido lavoro sui personaggi che la serie emerge e si differenzia da altri titoli a sfondo sportivo: in un mondo costantemente immerso nel cinismo, Ted Lasso è la figura di cui abbiamo bisogno.
Ted Lasso – Stagione 2

Con questa premessa, era inevitabile che le aspettative per la stagione sophomore dello show fossero altissime – e, in alcuni casi, irrealistiche –, ma arrivati alla fine della seconda annata, la sensazione è che sotto molti punti di vista Ted Lasso abbia addirittura migliorato quanto di ottimo era già stato fatto. Sicuramente, come spesso accade per prodotti che raggiungono così tanto successo, c’è stata la classica fase di backlash che si è fatta molto rumorosa soprattutto a metà stagione: tra gli aspetti più criticati, per esempio, c’era l’apparente assenza di conflitto, con i primi sei episodi che pendevano troppo dalla parte del “vogliamoci bene”. La sensazione è che molti di questi commenti – con tutte le loro giustificazioni – fossero dettati dall’esperienza completamente diversa vissuta nel guardare una serie un episodio a settimana invece di fruirla tutta d’un fiato come è successo per la prima stagione; con la possibilità di avere di fronte l’intero disegno come possiamo fare ora, alcune scelte sarebbero probabilmente state apprezzate di più.

Sul fronte degli aspetti lavorativi legati al mondo del pallone, questa stagione ha sicuramente offerto molto poco, ribadendo quanto già mostrato l’anno scorso: Ted Lasso, più che sul calcio è una serie su un gruppo di persone che cercano di diventare persone migliori, anche grazie al coach interpretato da Jadon Sudeikis. La scelta di lasciare così poco spazio al cammino di una squadra finita in Championship che cerca di tornare in Premier League si rivela vincente; dopotutto, era anche difficile immaginarsi che avrebbero lasciato l’AFC Richmond a navigare un altro anno nella seconda divisione inglese.
È anche molto curioso come elementi che avrebbero potuto essere sviluppati anche per un’intera stagione, come la protesta di Sam Obisanya nei confronti della Dubai Air, si risolvono praticamente fuori campo con l’arrivo sulle magliette nelle puntate successive del nuovo sponsor Bantr. È chiaro che il destino in sé dell’AFC Richmond, non solo sportivo ma anche economico, non fosse al primo posto tra le priorità degli autori; ciò non toglie, nonostante la risoluzione per certi versi anti-climatica della questione Dubai Air, che l’episodio in sé sia importantissimo in quanto il primo tassello del percorso di cambiamento e crescita dedicato a Sam.

Anche il resto del cast gode di un lavoro estremamente minuzioso nello sviluppo, e anche in questo caso si raccoglie quanto seminato nella prima stagione. Keeley è sempre di più sulla cresta dell’onda della sua carriera, mentre Roy continua a imparare a essere sempre meno quella figura tossica e arrabbiata che quasi sempre identifica un prototipo di atleta mai problematizzato e fin troppo spesso elogiato. Come spesso accade, Ted Lasso parte da dei cliché per sfruttarli e sovvertire le aspettative, dando una tridimensionalità ai propri personaggi che molte serie riescono a malapena a sfiorare.
Quello che però è forse l’aspetto più importante di questa seconda stagione, è il modo in cui è stato affrontato il discorso sulla salute mentale. Come per molti altri degli ingredienti che rendono questa serie così riuscita è un tema che già nella prima stagione era stato trattato, ma con l’introduzione del personaggio della psicologa Sharon Fieldstone gli autori hanno la possibilità di scavare ancora più a fondo alla questione. Al giorno d’oggi è essenziale che si sviluppi una discussione su questo argomento perché si tratta, ancora, di qualcosa che viene visto con scetticismo da troppe persone, soprattutto quando a farne le spese sono personaggi di spicco ai quali applica la formula del “se sono ricchi per forza di cose non possono stare male”, o peggio, del “non possono avere nulla di cui lamentarsi”. Depressione e ansia, invece, sono molto comuni tra i grandi atleti: basti pensare alle importantissimi dichiarazioni rilasciate da Kevin Love e DeMar DeRozan in NBA negli ultimi anni proprio sull’argomento, i primi a parlarne liberamente e veri e propri pionieri di un movimento che cerca di aiutare le star dello sport che, nonostante i privilegi del caso, sono pur sempre esseri umani.

Detto questo, Ted Lasso si conferma una delle migliori serie del momento, poiché riesce a gestire perfettamente la sua natura comica senza avere paura di toccare tematiche difficili – come la salute mentale –, raramente trattate con questa delicatezza. Grazie agli elementi lasciati in sospeso nel finale, c’è già tutto il necessario per pensare che anche la prossima stagione, in cui il derby tra West Ham United e AFC Richmond si consumerà soprattutto fuori dal campo, non deluderà le aspettative.
Voto: 8½
Ted Lasso – Stagione 3

Che questa potesse essere la stagione conclusiva, già si sapeva da parecchio tempo; Jason Sudeikis non ha infatti mai nascosto l’intenzione di portare avanti il racconto seguendo tre annate dell’AFC Richmond, e alla luce del finale da poco andato in onda, a meno che non vengano sviluppati degli spin-off, sembra proprio che difficilmente rivedremo Ted Lasso tornare in panchina con i Greyhounds – Apple sembra l’unica ad attraversare ancora la fase “rifiuto” del lutto. Alla luce di tutto questo e dell’innegabile ottimo passato della serie, le aspettative per questo capitolo finale erano ovviamente molto alte. Sfortunatamente, però, Ted Lasso non è riuscita a replicare la qualità vistasi nelle due passate stagioni, in un percorso di dodici puntate un po’ altalenanti dove spesso si è avuta l’impressione che la magia si fosse irrimediabilmente spezzata. Complice la durata eccessiva di alcune puntate, il trattamento a tratti incomprensibile di alcuni personaggi chiave e una comicità che non solo non faceva ridere ma spesso sfociava nel cringe – con l’eccezione di Zava, una delle aggiunte migliori della stagione – troppe volte è sembrato di guardare la brutta copia di uno show così tanto amato.

Quando Ted Lasso si focalizza sul mondo del pallone per analizzare i suoi protagonisti e, attraverso loro, le tante delle problematiche che costellano il mondo dello sport e non solo, riemerge la grande serie degli anni passati. Pensiamo per esempio alla storia di Colin Hughes è alla difficoltà per un atleta in un ambito così maschilista come quello del calcio di fare coming out. Anche se non sempre in maniera raffinata – la reazione del capitano McAdoo sembra un pretesto per aggiungere conflitto a un racconto che non ne ha necessariamente bisogno -, Ted Lasso fa un buon lavoro nel mettere in scena quello che deve vivere quotidianamente Colin, portando alla luce un tema che purtroppo vive ancora nel pregiudizio nel mondo reale – è di pochi mesi fa il coming out di Jakub Jankto, ex giocatore della Sampdoria, il primo a farsi avanti a livelli così alti del calcio.
Chi invece non gode dello stesso trattamento a livello qualitativo, è sicuramente Keeley. Se nelle prime stagioni è stata uno dei personaggi più amati, qui è probabilmente protagonista di una delle linee narrativi più difficili da seguire. Già la scelta fatta nella premiere di interrompere la sua relazione con Roy aveva fatto storcere il naso, non tanto per la rottura in sé, quanto per le motivazioni e la gestione nel corso della stagione. Invece di mostrare il tutto nella prima puntata, avrebbero potuto sviluppare meglio la cosa nell’arco della stagione, dando una motivazione più forte degli impegni lavorativi, per esempio. Per tante persone questi ultimi sono sicuramente un problema, ma forse avrebbe funzionato di più se si fossero resi conto, dopo la classica fase della luna di miele, che non erano davvero fatti l’uno per l’altra. Oltre a questo, c’è tutta la questione del lavoro di Keeley, dove in più di un’occasione viene fatta apparire come una totale incompetente che si lascia abbindolare facilmente, buttando via tutto lo splendido lavoro che era stato fatto sul suo personaggio.

A metà strada tra il riuscito e non, c’è Nathan. La sua discesa verso il lato oscuro della forza era stato uno dei tanti pregi della seconda stagione e c’era grande curiosità nel vedere in che modo avrebbe percorso il cammino verso una redenzione inevitabile ma non per questo meno interessante – a rendere la metafora starwarsiana ancora più forte, basti pensare che l’ufficio di Rupert Mannion è stato decorato ispirandosi alla sala del trono di Palpatine ne Il Ritorno dello Jedi. Nel complesso, non si può dire che abbiano sbagliato qualcosa: è molto bello vedere Nate fare gran parte dei passi verso la retta in via in autonomia, capendo sempre di più l’importanza di quello che aveva con l’AFC Richmond. Meno riuscita invece la relazione con Jade, una storia d’amore che manca della forza emotiva di tante altre viste in Ted Lasso prima della terza stagione, complice anche una scrittura tendente alla manic pixie dream girl di lei. È però innegabile che il momento in cui Nate si scusa con Ted sia una delle scene più forti e toccanti della serie.
Il destino più atteso, però, era ovviamente quello di Ted. La premiere aveva lasciato intendere che il matrimonio tra coach Lasso e l’AFC Richmond stesse volgendo al termine: l’importanza del figlio nella sua vita e il peso di questo rapporto a distanza, non sono mai stati nascosti. L’addio alla squadra nello spogliatoio, la scena con Rebecca nello stadio vuoto, si aggiungono alla lista di momenti meravigliosi e strappalacrime che hanno costellato la stagione e che dimostrano la capacità di un gruppo di autori di trovare forme di conflitto non banali all’interno del percorso di un personaggio all’apparenza sempre ottimista come il protagonista. È stata sicuramente l’esplorazione delle sue difficoltà – pensiamo agli attacchi di panico della prima e seconda stagione – a renderlo ancora più umano. Il suo ritorno a casa per stare più vicino a Henry, si può quasi leggere come una scelta moderna da parte della serie, in cui è la figura maschile a scegliere il figlio prima del lavoro e non il contrario. Non è escluso che in futuro Ted torni nel mondo dello sport professionistico, ma per una volta, dopo aver aiutato gli altri a farlo per tanto tempo, è riuscito a trovare l’equilibrio che cercava.

Voto stagione: 7
Voto serie: 8
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