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The Last Of Us – 1×01 When You’re Lost in the Darkness
Finalmente è arrivato uno dei momenti più attesi della stagione televisiva, quello che milioni di appassionati di uno dei videogiochi più belli di sempre non vedevano l’ora di vivere: è arrivato il momento di immergerci nel futuro post-apocalittico di The Last of Us, la serie HBO tratta dal videogioco di successo del 2013.

Partiamo dalla storia, per chi ancora non la conoscesse: vent’anni dopo l’esplosione pandemica di Cordyceps – un fungo che trasforma gli essere umani in una specie di zombie – Joel, un contrabbandiere, deve scortare una ragazzina di nome Ellie in un lungo viaggio, che avrà conseguenze inimmaginabili. È una trama abbastanza semplice e probabilmente già vista in decine di prodotti post-apocalittici, in cui i protagonisti sono costretti a vivere in un mondo irriconoscibile e pieno di orrori, cercando di sopravvivere come meglio possono. Quindi quello che dovrebbe fare la differenza non è tanto il cosa, ma come lo si racconta. Questo pilot è riuscito nell’intento?

Partiamo intanto da un presupposto importante: quando un film o una serie tv vengono tratti da libri, videogiochi, fumetti o altre tipologie di media che hanno già avuto un successo planetario, i fan di queste prime versioni della storia aspettano al varco la trasposizione su grande o piccolo schermo, per vedere se il lavoro svolto è all’altezza di quello originale. The Last of Us è stato uno dei videogiochi più giocati di sempre, ma non solo: ha dato una svolta epocale a come si debba sceneggiare un videogame, rendendo fondamentale il tipo di storia che il giocatore sta vivendo, per immergercisi fino al midollo. Quindi questa serie non solo è basata su un prodotto già molto conosciuto e apprezzato, ma si può quasi definire un remake dello stesso, tanto già la versione videoludica era complessa e stratificata. Questa prima puntata è sicuramente costruita anche per il puro fanservice verso gli appassionati del videogioco: non solo la storia raccontata è molto fedele all’inizio della saga per videogiocatori, ma addirittura molte scene e inquadrature sono identiche o molto simili a passaggi fondamentali del prodotto originale. Abbiamo inserito “anche” perché non tutti quelli che si sono approcciati a questa serie conoscono il videogioco: è stata quindi, secondo il nostro punto di vista, una scelta intelligente quella fatta dai creatori Craig Mazin e Neil Druckmann, perché così facendo hanno strizzato l’occhio agli appassionati ma hanno tenuto alta la qualità del racconto, come era già evidente dal successo del videogioco.

Fatta questa importante premessa, il pilot non ha deluso le aspettative degli appassionati del genere: molto interessante l’apertura in cui si spiega in modo molto chiaro quello che poi vedremo succedere al mondo, ma è anche una sottolineatura di come la natura possa sopraffarci da un momento all’altro – e il fatto che il via alla produzione di questa serie si stato dato nel tardo 2020, pochi mesi dopo la prima ondata di Coronavirus, non sembra affatto una casualità.
La costruzione degli avvenimenti che poi si susseguono è lineare ma rende bene il crescendo di tensione che si respira: anche se sappiamo benissimo cosa sta per succedere, il vedo-non vedo di quello che sta capitando alla popolazione è sicuramente un punto a favore di come è stata scritta tutta la parte ambientata nel 2003 (menzione speciale alla scena fuori fuoco con l’anziana vicina di casa di Joel).

“When You’re Lost in the Darkness” in definitiva può essere visto come una sorta di lungo prologo a quello che poi dovranno affrontare Joel, Ellie gli altri personaggi nel loro viaggio: introduce la malattia, le conseguenza che essa ha avuto sull’umanità, ci presenta il passato di Joel e ci introduce nella Boston decadente del 2023, in attesa di scoprire quali orrori si celano al di fuori della zona di quarantena, dove Ellie, essendo nata ben dopo l’esplosione della pandemia, non è mai stata.
Nelle prossime otto puntate infatti verranno presumibilmente raccontati gli eventi del primo gioco e della sua espansione The Last of Us: Left Behind, in attesa che la serie venga rinnovata per una seconda stagione – che dovrebbe raccontare poi il secondo capitolo dei videogame, The Last of Us Part II; abbiamo pochi dubbi che ciò non avvenga, soprattutto perché questa prima puntata è stata seguita da 4,7 milioni di telespettatori negli Stati Uniti nella prima notte di disponibilità, rendendola il secondo più grande debutto dal 2010 dietro a House of the Dragon.

Anche il cast è sicuramente un punto di forza di questa serie: Pedro Pascal e Bella Ramsey sembrano ottimi per i ruoli che ricoprono ma soprattutto, almeno da questi primi minuti, sembrano davvero perfetti assieme sullo schermo. Una menzione particolare va anche a Anna Torv, che riesce a essere a suo agio in qualsiasi tipo di abito le venga cucito addosso: speriamo che il suo personaggio duri il più a lungo possibile. A proposito del cast, una curiosità: sembra che Pedro Pascal abbia guadagnato 600.000 dollari a episodio, rendendolo uno degli attori televisivi più pagati di sempre.

Il pilot di The Last of Us ha quindi posto delle ottime basi per una delle serie tv più attese dell’anno. Se non si è stati giocatori del videogioco si può apprezzare ancora di più questa specie di lungo prologo che fa da incipit a tutta la vicenda senza mai esserne stufi, ma anzi facendoci aspettare con curiosità quello che questa storia ha da offrirci.

Voto: 7
The Last of Us – 1×02/03 Infected & Long, Long Time
The Last of Us, l’attesissimo adattamento televisivo HBO del celebre videogioco, trascina con sé un gran numero di aspettative, sia da parte dei giocatori affezionati alle emozioni provate durante l’esperienza videoludica e sia da parte di un pubblico televisivo che non è mai entrato in contatto con l’universo di The Last of Us. Anche a causa dell’entusiasmo dei giocatori nei confronti della sua storia, si aspettava questo show con curiosità, cercando di cogliere cosa ci fosse di tanto speciale nella trama e nei personaggi di quel gioco tanto acclamato.

Tuttavia, erano molti i legittimi dubbi di coloro che ponevano poca fiducia nei confronti dell’idea stessa di un adattamento televisivo di un videogioco (un esperimento che tende in genere a funzionare poco), proprio perché l’esperienza videoludica porta con sé alcuni elementi che non possono essere replicati in chiave televisiva con la semplice messa in scena della storia. Il rischio è sempre quello di depotenziare quell’immedesimazione e quella tensione che i videogiocatori provano e che sono tremendamente difficili da trasferire in campo televisivo senza un’adeguata consapevolezza e cura. Oltretutto, il videogioco si è distinto subito per alcune novità introdotte in campo narrativo, registico e di gameplay che lo hanno reso un prodotto innovativo; ma è da sottolineare che il primo capitolo è uscito nel 2013. Una delle domande più fondate circa questo adattamento televisivo riguarda proprio questa distanza anacronistica: se nel 2013 e in campo videoludico,The Last of Us rappresentava un’assoluta novità, cosa ha da raccontare, adesso, una storia vecchia di dieci anni e che presenta, oltretutto, innumerevoli elementi già ampiamente raccontati altrove in campo televisivo?

Questa è probabilmente la sfida più difficile che Craig Mazin e Neil Druckmann hanno dovuto affrontare durante la costruzione di questa serie. Il positivo esordio dello show ha scacciato via i dubbi riguardanti la sua qualità (HBO su questo non si smentisce mai) e la sua fedeltà al prodotto originario, proponendo un pilot curatissimo e così simile registicamente al gioco da risultare come una sorta di tributo al prodotto originale. Tuttavia, nonostante il superamento di questa prima prova, i dubbi citati in precedenza sono rimasti nell’aria. Fortunatamente, il secondo e, soprattutto, il terzo episodio di The Last of Us hanno dimostrato quanto i creatori fossero davvero consapevoli della necessità di adattare la storia al presente in maniera intelligente e non prevedibile.

Save who you can save.

Il secondo episodio, “Infected”, dimostra ben presto che la serie non ha paura di prendersi il suo tempo per connetterci con quel mondo infernale devastato dal Cordyceps. E lo fa in maniera sottile e intelligente, senza concentrarsi troppo sugli orrori scatenati dagli infetti – i cui momenti sono comunque messi in scena tremendamente bene –, ma indagando le sue conseguenze sulla psiche dei personaggi principali e sullo svuotamento emotivo ed empatico che un mondo tanto brutale provoca in loro.

Il pericoloso cammino intrapreso da Joel, Tess ed Ellie al di fuori della zona di quarantena mette bene in luce la differenza fra l’ingenuità e la capacità di meravigliarsi di Ellie e la calma e fredda rassegnazione dei due, abituati agli orrori di un mondo che non fa sconti e alla privazione di un’umanità che pare, adesso, soltanto un lontano ricordo annebbiato. E mentre Ellie – che si trova per la prima volta al di fuori della zona di quarantena – è costretta ad esplorare più a fondo l’insensata crudeltà di questo mondo apocalittico, immaginando il periodo pre-pandemia come una sorta di utopia a cui non potrà mai avere accesso, Joel e Tess si scontrano con un’emozione che non pensavano di poter provare ancora: la speranza. Incarnata in quell’irriverente ragazzina, la speranza di un mondo privo di quegli orrori che hanno annichilito la loro stessa umanità si insinua, loro malgrado, nelle loro menti. E se Joel – dopo aver perso Sarah in quel modo così traumatico – può ancora cercare di ignorare l’enorme responsabilità e speranza che comportano il proteggere Ellie, Tess è costretta ben presto a fare i conti con tutto questo, perché il suo tempo sta ormai per scadere.
“Infected” ci introduce, infatti, ai famosi e terrificanti Clicker, che rappresentano il terzo, orrendo, stadio dell’infezione. Quest’ultima li ha resi ciechi ma, al tempo stesso, dotati di una forza disumana e di un udito estremamente fino. Chi ha giocato al gioco non dimenticherà mai il terrore provato quando ci si trova alle prese con questo tipo di infetti. L’episodio ha il grande merito di essere riuscito a trasmettere la stessa tensione con una scena d’azione girata magistralmente e capace di tenere gli spettatori con il fiato sospeso. Nonostante il sangue freddo dei protagonisti, la pericolosità dei Clicker ci viene mostrata immediatamente, in quanto sia Ellie che Tess vengono morse da queste orribili creature. Mentre il triste destino di Tess si mostra nel repentino peggiorare della sua ferita, l’incredibile immunità di Ellie scaccia via tutti i dubbi rimasti a Joel riguardo l’importanza del tenere la ragazzina al sicuro.

I momenti finali di Tess colpiscono nel segno grazie soprattutto alla grande interpretazione di Anna Torv che, nel mostrarci la paura di Tess di fronte alla sua fine, mettono anche in luce il suo disperato ma deciso aggrapparsi a quell’ultima speranza, rappresentata dall’immunità di Ellie e dalla consapevolezza che, con le sue ultime e decisive azioni, sta finalmente seguendo uno scopo superiore a quello della semplice necessità di sopravvivere. Nel portarci via così presto un personaggio tanto bello come quello di Tess, lo show rimarca la brutalità del mondo di The Last of Us, ma lo fa mettendo in luce come siano in realtà i legami – stroncati e non – fra i personaggi ancora in salvo ad essere il vero punto focale della storia.

You were my purpose.

Se si dovesse scegliere una frase per riassumere il terzo, splendido episodio, “Long, Long Time”, si potrebbe ricorrere alla penna di Italo Calvino quando, nelle Città Invisibili scrive che, per sfuggire all’inferno quotidiano dei viventi, bisogna “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Un pensiero che potrebbe riassumere il vero animo non solo di questo episodio, ma dell’intero universo di The Last of Us.

Ed è proprio in questa sotterranea ma vibrante ricerca che si nasconde l’universalità della sua storia, la chiave stessa per evitare quei rischi citati in precedenza, a cui si sarebbe potuti incappare se ci si fosse concentrati soltanto sulla descrizione degli orrori del suo mondo apocalittico. Con questa puntata – i cui settanta minuti volano come se fossero stati venti – i creatori della serie dimostrano non solo la loro bravura, ma anche l’amore che provano per questo universo. Nessuno si sarebbe aspettato un episodio del genere che, oltre a distaccarsi dai protagonisti dello show, si rivela anche essere una delle storie d’amore più belle mai raccontate in televisione. Si tratta, oltretutto, della relazione fra due personaggi, Bill e Frank (interpretati rispettivamente da Nick Offerman e Murray Bartlett), che abbiamo incontrato e salutato nel corso di un solo episodio, ma che resteranno impressi nella nostra memoria ancora a lungo, soprattutto grazie all’incredibile ed emozionante interpretazione dei due attori. Con “Long, Long Time” la serie si distanzia narrativamente dagli eventi raccontati dal gioco, in cui il personaggio di Bill ha un destino diverso rispetto a quello qui raccontato ma, paradossalmente, è l’episodio che riesce a mettere in luce nel modo più efficace le emozioni più profonde e significative che appartengono a The Last of Us.

In un mondo ormai perduto, privo di ogni speranza ed umanità, Bill non può fare altro che sfoggiare tutte le sue incredibili capacità per costruirsi il suo piccolo mondo sicuro, circondato da ogni possibile rimedio contro ipotetici intrusi. La sua condizione sottolinea la profonda solitudine che si accompagna alla straordinaria tragicità che un evento come la pandemia porta con sé, annichilendo poco a poco tutto ciò che era considerato quotidiano in tempi normali e instillando in ognuno un’incisiva e disumanizzante paura dell’Altro che – nel caso peculiare raccontato dallo show – portano un personaggio come Bill a vivere per sopravvivere, arroccandosi nel suo guscio sicuro.

L’arrivo di Frank, con il suo animo docile e ingenuo, rompe quella dura corazza che Bill ha costruito nel tempo, aprendo un varco nella sua solitudine e permettendo a quest’ultimo di trovare nell’amore provato nei suoi confronti il vero motore di ogni sua azione. Il loro rapporto si rivela allora, oltre che come una splendida storia d’amore, come l’atto più efficace di resistenza all’orrore, l’unico davvero capace di permettere loro di far sbocciare qualcosa di diverso rispetto all’inferno che li circonda. E allora anche il loro epilogo, per quanto triste ed emozionante, non può essere nient’altro che un’ulteriore prova di questa loro resistenza: è una fine dettata dalle loro decisioni e dal loro legame, l’ultimo e decisivo atto di umanità a dispetto di un mondo sempre più disumano.

La paura non sarà più, allora, soltanto quella dei mostri e degli infetti, ma sarà quella di perdere coloro che si amano (“I was never afraid before you showed up.”): l’unico tipo di paura che è capace di lasciare un segno positivo. E infatti, nonostante l’arroccarsi nel loro amore stando lontano da tutti, le scelte di Bill e Frank riescono a resistere alla loro stessa morte, instillando nell’animo di Joel – dopo aver ascoltato la lettera di Bill – quel coraggio di rompere anche la sua, di corazza, di aprirsi alla speranza e all’affetto verso quella strana ragazzina e di trovare uno scopo (“We have a job to do.”). È lo stesso che ha portato Tess a sacrificarsi in quel modo nel precedente episodio e che si riassume nel proteggere chi si ama, nel fare di tutto per difendere quel legame, farlo durare, e dargli spazio.

Per concludere, questa coppia di episodi colpisce nel segno. The Last of Us non solo riconferma tutti gli elementi positivi incontrati nel suo esordio ma, anzi, riesce a donarci personaggi e storie capaci di farsi ricordare, cogliendo appieno il vero spirito della sua storia e dimostrando che The Last of Us non racconta solo di mostri e di infetti, ma è una storia sulla resistenza e sulla forza dei legami umani. Tutto questo, unito ad una fotografia splendida e fedele al gioco, e alle interpretazioni magistrali dei suoi attori, alza incredibilmente il livello qualitativo di questa serie che sta dimostrando di essere sulla buona strada per affermarsi non solo come uno dei migliori adattamenti televisivi, ma anche come uno dei prodotti di maggiore qualità in circolazione. La strada, ovviamente, è ancora lunga, ma è impossibile adesso non avere grandi aspettative per i prossimi episodi.

Voto 1×02: 8
Voto 1×03: 9
The Last of Us – 1×04/05 Please Hold to My Hand & Endure and Survive
La struggente storia d’amore tra Bill e Frank vista nell’episodio “Long, Long Time” ha commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, e ha dimostrato nel migliore dei modi la capacità di The Last of Us di deviare dal materiale originale per sfruttare al meglio il potenziale narrativo del medium televisivo, con scelte che, in ambito videoludico, non avrebbero lo stesso effetto. “Please Hold to My Hand” e “Endure and Survive” – dirette entrambe da Jeremy Webb – proseguono con ottimi risultati questo trend, dando allo stesso tempo più spazio allo sviluppo del rapporto tra Joel e Ellie, anche se, sul fronte dell’azione, la serie HBO non riesce a ottenere gli stessi risultati.

Il viaggio di Joel e Ellie verso il Wyoming li porta attraverso Kansas City, una città dove il regime della FEDRA è stato sostituito da un gruppo di ribelli guidati da Kathleen Coghlan (Melanie Lynskey, tra le protagoniste di Yellowjackets). La location segna un cambio abbastanza netto rispetto alla Pittsburgh del videogioco, dettato principalmente da esigenze produttive, visto che le riprese si sono svolte a Calgary e dintorni, e ricreare il look della città della Pennsylvania negli ambienti canadesi sarebbe stato estremamente complicato. Non si tratta però di una scelta che rimescola troppo le carte in tavola; quello che importa, ai fini narrativi, è che i due protagonisti sono bloccati in una città e devono trovare il modo di andarsene.

Tornando a Kathleen, siamo di fronte a un altro personaggio completamente inventato per la serie TV. Nel videogioco, infatti, Joel e Ellie si imbattono semplicemente in un gruppo di banditi, una minaccia distante di cui si conosceva poco o nulla. Kathleen si dimostra da subito una leader spietata e senza scrupoli, assetata di vendetta e alla ricerca disperata di Henry (Lamar Johnson). Melanie Lynskey evita di interpretare il suo personaggio con i soliti tratti comportamentali estremi a cui siamo abituati a vedere in situazioni di questo genere, in una versione più pacata e quasi timida del classico villain, che però colpisce ancora di più quando diventa violenta per raggiungere i suoi scopi.

Craig Mazin è inoltre bravissimo a costruire una backstory per questo personaggio e a giustificare come una persona così sia diventata la leader di un gruppo di ribelli. Per quanto ovviamente il tutto avvenga attraverso metodi non condivisibili, è facile pensare che anche il più tranquillo di noi, in un contesto estremo come quello del mondo The Last of Us, possa trasformarsi in questa maniera. Dopotutto, è questa la base di un racconto dove l’amore e il legame con le persone più vicine ai personaggi viene messo a dura prova dalle circostanze che si sono create dopo la pandemia.

Chi invece mantiene un trattamento pressoché simile rispetto alle loro controparti videoludiche, sono Henry e Sam, con la differenza che quest’ultimo è non udente. È una scelta fatta da Craig Mazin per evitare che il rapporto tra i due fratelli risultasse troppo simile a quello tra Ellie e Joel, e che aggiunge un elemento di calma rispetto al legame sicuramente più acceso dei due protagonisti. Henry e Sam si inseriscono alla perfezione nel racconto, una dei tanti incontri che accompagnano il viaggio di Ellie e Joel e che, soprattutto nel caso di quest’ultimo, li portano a confrontarsi con emozioni nuove o rimaste per troppo tempo nascoste. I momenti tra Sam (Keivonn Montreal Woodard) e Ellie sono molto toccanti, una piccola parentesi di pace tra due ragazzi che si godono dinamiche pressoché impossibili in un contesto come questo, la solita calma prima della tempesta. Il finale della storia di Henry e Sam non perde minimamente la potenza della sua versione videoludica, e ci ricorda come nel mondo di The Last of Us amare qualcuno sia un’arma a doppio taglio, perché è sì un’ancora di salvezza e un motivo per andare avanti, ma allo stesso tempo può essere un impedimento quando si è di fronte a decisioni difficili – e Joel lo sa meglio di tutti.

Per quanto però il personaggio di Pedro Pascal provi in tutti i modi a portare avanti con Ellie un rapporto di tipo “lavorativo” – “You’re cargo”, le dice quando cerca di descrivere il loro legame -, è sempre più evidente che la corazza emotiva che Joel si è costruito negli anni dopo la morte della figlia si stia a poco a poco sgretolando. Joel si rende conto delle doti di Ellie e della sua capacità di adattarsi e sopravvivere nel caos che li circonda. Questo lo porta forse ad abbassare un po’ la guardia, ma allo stesso tempo gli permette di vedere che forse esiste una possibilità in un mondo senza speranza di avere un piccolo frammento di amore. Non è per niente semplice costruire in maniera graduale un cambiamento di questo tipo che porti dal totale disinteresse all’affetto, ma Craig Mazin e Neil Druckmann dimostrano ancora una volta di sapere quello che stanno facendo. Bella Ramsey, inutile dirlo, continua a essere fantastica nella rappresentazione di Ellie.

Dove però la serie, nonostante i molti pregi, non riesce ancora a spiccare, è nelle scene d’azione. Lo scontro finale con l’orda di clickers lascia un po’ a desiderare, e data la location così aperta si perde il senso di angoscia che un incontro del genere dovrebbe trasmettere. Anche visivamente The Last of Us non è sempre all’altezza delle aspettative e la stessa Kansas City vista in queste due puntate sembra fin troppo generica rispetto alla Pittsburgh che si vede nel videogioco, ma è un problema forse più evidente per chi ha un legame con la versione di questo racconto per PlayStation.

Detto questo, The Last of Us continua a dimostrarsi un ottimo prodotto e un grande adattamento di uno dei più grandi videogiochi di sempre, a riprova di quanto forte sia la storia creata da Neil Druckmann, nonostante sia difficile definirla una produzione perfetta su tutti i fronti. Quello che è sicuro è che, nella mani di Craig Mazin, The Last of Us non si accontenterà mai di mettere in scena solamente una produzione fedele del racconto originale, e anche chi conosce il videogioco a memoria avrà modo di stupirsi e scoprire cose nuove.

Voto 1×04: 7½
Voto 1×05: 7½
The Last of Us – 1×06/07 Kin & Left Behind
The Last of Us è senza ombra di dubbio la serie del momento, quell’evento televisivo in grado di catalizzare l’attenzione degli appassionati e della critica di settore. Il suo successo deriva innanzitutto dalla fama del materiale originale – il videogioco e il suo sequel sono considerati tra i migliori giochi di sempre – ma anche da come HBO ha saputo costruire, a partire dall’annuncio, un grande hype intorno allo show, coinvolgendo prima il creatore dell’opera originale Neil Druckmann e poi un autore televisivo di tutto rispetto come Craig Mazin (Chernobyl).

Il risultato è stato eccellente e i primi cinque episodi lo hanno dimostrato oltre ogni possibile dubbio: Pedro Pascal e Bella Ramsey si sono calati perfettamente nei ruoli dei protagonisti, nonostante le critiche ingiustificate a priori di molti fan. La scrittura di Mazin, sceneggiatore di quasi tutti i nove capitoli che compongono la prima stagione, eccezion fatta per “Left Behind” scritto da Druckmann, è stata calibrata al millimetro per poter sia accontentare lo zoccolo duro degli appassionati del videogame sia per sapersi distanziare all’occorrenza e fare delle scelte coraggiose che convincessero i più scettici. Per questo in The Last of Us possiamo tranquillamente assistere a scene d’azione al cardiopalma come per esempio la fuga dagli infetti di “Endure and Survive” ma anche ad episodi standalone come lo struggente “Long, Long Time” che fa sembrare lo show quasi una serie antologica mancata per quanto è ben riuscito. L’idea vincente degli autori è stata dunque quella di adeguare una storia che poteva benissimo essere raccontata in modo orizzontale, piatto e superficiale – il viaggio di due persone in un mondo post-apocalittico, intervallato da alcune battaglie e alcune fughe, come in una qualunque serie action-horror – in un prodotto che invece sfrutta la sua ambientazione e il medium televisivo per scandagliare in profondità la complessità di cosa vuol dire essere umani, anche in un mondo in cui si avrebbero tutte le ragioni per dimenticarsene. Questo comporta registri diversi, un particolare interesse nello sviluppo dei personaggi e dei loro rapporti e, soprattutto, un grande amore verso il materiale d’origine.

“Kin” e “Left Behind” sono due episodi estremamente diversi tra loro e, proprio per questo motivo, sono esemplari per capire le diverse facce di The Last of Us. Il primo, infatti, è un episodio che spinge l’acceleratore sulla trama orizzontale, mostrandoci una nuova importante tappa nel percorso dei protagonisti e un fondamentale snodo relazionale tra loro, mentre il secondo rappresenta un’altra battuta d’arresto improvvisa nella narrazione e ci porta indietro nel tempo, esplorando il background di Ellie con una lunga parentesi funzionale alla crescita della protagonista.

1×06 “Kin”

Il sesto episodio è diretto da Jasmila Žbanić, regista bosniaca nota per il pluripremiato film Quo Vadis, Aida?, che ha affermato di aver attinto alla sua esperienza di vita a Sarajevo come ispirazione per creare visivamente la città di Jackson, che vediamo per la prima volta in questo capitolo dello show. Si tratta di un passo importante per The Last of Us, soprattutto in relazione all’ambizione della serie e della sua già sicura seconda stagione: la cittadina di Jackson, infatti, è importante più per gli eventi futuri che per quelli attuali di Joel ed Ellie, ed è stata inserita dagli autori in anticipo in questo momento della storia proprio per sottolinearne la centralità che avrà sul lungo periodo – nel gioco originale difatti non la vediamo subito come appare nell’episodio ma ce ne viene mostrato solo un piccolo avamposto vicino alla diga.
Jackson è una piccola comunità che cerca di sopravvivere in mezzo all’apocalisse attraverso la creazione di una società in cui tutti dipendono dalla collettività e solo mettendosi insieme e condividendo in modo eguale le risorse si va avanti. Come viene espresso con una battuta in una linea di dialogo dell’episodio si tratta a tutti gli effetti di una sperimentale società comunista, cosa che lascia basito il personaggio di Tommy, interpretato da Gabriel Luna.

Quest’ultimo era uno dei protagonisti più attesi dai fan che sono stati ampiamente ripagati: la reunion con il fratello Joel è molto emozionante, così come è interessante e ben scritta tutta la parte in cui si aggiornano sulle loro vite. In generale è un episodio in cui i dialoghi tra i personaggi hanno un peso importante e servono a far muovere la narrazione. Joel, per esempio, esprime a Tommy i suoi timori e le sue speranze in Ellie, chiedendogli di portare a termine la sua missione perché crede di non farcela, anche a causa di una precarietà fisica e mentale che vediamo qui esplicitata attraverso degli accennati attacchi di panico. Lo scambio però più importante di “Kin” è quello che riguarda i personaggi di Pedro Pascal e Bella Ramsey: Joel vorrebbe lasciare Ellie nelle mani più giovani e – a suo avviso – più sicure di Tommy, ma la ragazza gli fa capire che il legame che ha sviluppato con lui per lei è più importante della missione stessa. In particolare poi Ellie è nata e cresciuta in un mondo in cui tutte le persone a cui ha voluto bene le sono morte attorno, e la possibilità di dover gestire anche la separazione da Joel sarebbe per lei micidiale. Le interpretazioni degli attori e la scrittura dell’episodio rendono questo punto di svolta nel loro rapporto molto efficace anche in vista della scelta finale di Joel, che non risulta forzata o brusca, ma una naturale evoluzione del suo carattere.

Dal punto di vista estetico e narrativo la puntata fa tanti riferimenti all’epica western e la città stessa di Jackson richiama a quell’universo di riferimento. Il viaggio dei due protagonisti inoltre, per non farsi mancare nulla, prosegue a cavallo, prevede delle tappe di fronte a dei falò e in una delle ultime scene dell’episodio Joel insegna a Ellie a sparare facendo pratica su un manichino.

1×07 Left Behind

Come si diceva, “Left Behind” è strutturato come un lungo flashback che porta la storia ad approfondire il passato di Ellie, in particolare gli eventi che l’hanno portata ad essere morsa da un infetto e quindi scoprire così di essere immune all’infezione del coryceps. L’episodio è tratto dalle vicende raccontate in The Last of Us: Left Behind, un DLC – contenuto aggiuntivo – che è stato prodotto ed è uscito dopo la release del gioco principale, risultando un’aggiunta non obbligatoria alla narrazione e non imprescindibile da giocare per comprendere la storia; questa aggiunta, narrativamente parlando, si colloca nello stesso punto della trama nel quale è stato inserito nello show, ovvero in parallelo al primo soccorso che Ellie deve operare sulla grave ferita di Joel.

Se volessimo fare un piccolo parallelo, potremmo dire che questo settimo episodio è molto simile a “Long Long Time” per la sua struttura quasi totalmente verticale e perché anche qui si racconta una storia d’amore che finisce in modo tragico. Certo, il contesto e la dilatazione temporale della narrazione sono molto diversi: qui siamo di fronte alle vite di due adolescenti cresciute nella Zona di Quarantena e non a quelle di due uomini che si trovano nella solitudine di un paesino di provincia abbandonato; inoltre, nel caso della love story tra Bill e Frank, la trama si sviluppava lungo una vita intera, mentre nel caso di Ellie e Riley – interpretata da Storm Reid (Euphoria) – la narrazione inizia e si esaurisce nel giro di una notte. Il setting scelto è, come nella controparte videoludica, il centro commerciale, che diventa luogo di scoperta e di meraviglia per Ellie, nonché luogo di passaggio fondamentale per la sua crescita umana e sentimentale.

La prima sensazione provata dalla ragazza, infatti, è una grandissima emozione nello scoprire cose che per un’adolescente sarebbero normali, come le scale mobili o la giostra dei cavalli. Bella Ramsey restituisce perfettamente il senso di meraviglia del suo personaggio di fronte a cose apparentemente banali e, bisogna dirlo, le due attrici in generale sono fenomenali nel reggere da sole l’intero episodio sulle spalle, anche grazie ad una chimica perfetta e a un’ottima direzione registica. Il loro rapporto viene esplorato poco a poco, anche in questo caso attraverso i dialoghi, e attraversa diverse fasi fino a raggiungere picchi di tensione sessuale – il bacio – ma anche momenti di litigio molto accesi – quando Ellie abbandona l’amica perché scopre che non le ha raccontato tutta la verità. In generale, per l’episodio, il suo essere concentrato in un momento specifico delle vite delle due ragazze è un bene per la narrazione che, attraverso un singolo momento, riesce a raccontarci praticamente tutto di ciò che sono state le vite delle protagoniste e, soprattutto, le strade diverse che stanno per prendere.

Il finale, come si diceva, è tragico e, anche se il momento cruciale viene lasciato in sospeso – non vediamo la trasformazione di Riley anche se siamo consapevoli che solo una delle due ragazze si salverà – l’episodio funziona e ci permette di capire quali sono le motivazioni che spingono Ellie ad andare avanti e a non arrendersi di fronte alla gravità delle condizioni di Joel, anche dopo che quest’ultimo le ha intimato di lasciarlo lì e andare avanti. Riprendendo ciò che abbiamo scoperto sul personaggio di Ellie e sul rapporto tra lei e il personaggio di Pedro Pascal anche nel sesto episodio, capiamo perfettamente anche i motivi per i quali per la ragazza il rapporto con Joel è diventato tanto profondo ed è qualcosa che deve provare a non perdere a tutti i costi. Ellie ha visto morire la sua migliore amica/amante, si è dovuta lasciare alle spalle – “left behind” – tante cose, è stata lasciata sola nei momenti più difficili della sua esistenza e l’unica persona vicino alla quale si sente al sicuro – come dice lei stessa alla fine di “Kin” – è Joel.

“Kin” e “Left Behind” sono due episodi molto diversi ma entrambi molto riusciti per The Last of Us, che si conferma come uno dei titoli da tenere in maggior considerazione in questa stagione televisiva e uno dei migliori adattamenti di videogiochi mai visti sul piccolo schermo.

Voto 1×06: 8
Voto 1×07: 8½
The Last of Us – 1×08/09 When We Are in Need & Look for the Light
Con questa intensa coppia di episodi si è conclusa la prima stagione targata HBO di The Last of Us. Era già palese prima, ma alla luce di queste puntate finali, possiamo dire senza troppi dubbi che quello di Craig Mazin e Neil Druckmann è il migliore adattamento televisivo di un videogioco mai creato fino ad ora. E i motivi di ciò non si limitano soltanto alla qualità della sua messa in scena e alla bravura dei suoi interpreti, ma anche e soprattutto al merito dei creatori per aver colto e riproposto i temi più importanti della sua storia.

Sarebbe stato facile puntare tutto sugli elementi più catastrofici e adrenalinici dovuti all’infezione da Cordyceps, ma gli autori hanno saputo coltivare i dettagli che hanno permesso al gioco stesso di restare così impresso nella memoria e nei cuori dei videogiocatori per ben dieci anni, distinguendosi da una miriade di titoli videoludici dello stesso genere. Questi dettagli sono stati trasferiti dalla console allo schermo in un percorso che ha ben chiaro su cosa è giusto soffermarsi per offrire un prodotto di qualità nel panorama televisivo odierno restando, al tempo stesso, fedele a quello di origine.
In questi ultimi episodi lo show ha delineato con successo l’ulteriore stretta del legame fra Ellie e Joel, amplificata dagli eventi disperati e tragici che i due hanno vissuto insieme e che non avrebbero potuto superare senza l’aiuto reciproco. Questo legame è diventato così incisivo che i due sono arrivati ormai al punto di mettere a repentaglio la propria stessa vita per salvare l’altro, se dovesse essercene bisogno. Se nel loro passato Joel ed Ellie sono stati costretti a lasciare indietro (Left Behind) Sarah e Riley, questa possibilità adesso non può essere contemplata: nessuno dei due sarebbe in grado di reggere l’assenza dell’altro e l’intero senso che i due danno alla loro stessa (r)esistenza si basa sul loro legame, sull’andare avanti insieme perché l’alternativa sarebbe non andare avanti affatto; perdersi nell’orrore diventando un infetto oppure sopravvivere perdendo la propria umanità.

1×08 “When We Are in Need”

In questo angosciante episodio la nostra Ellie – grazie ad una perfetta interpretazione di Bella Ramsey – ci viene mostrata nel punto massimo della sua forza e, al tempo stesso, della sua vulnerabilità. Durante l’incontro con il losco David, la giovane attrice è stata in grado di trasferire sullo schermo tutta la risolutezza, ma anche tutta la paura e la disperazione di Ellie che, nel tentativo di salvare la vita a un Joel ancora incapace di riprendersi, dimostra un coraggio e una determinazione che forse lei per prima non pensava di possedere.

È quasi commovente assistere al drammatico cambio di ruolo di Ellie che, fino ad ora, è sempre stata la ragazzina da “proteggere” dal più navigato Joel. Adesso che Joel è gravemente ferito ed Ellie ha dovuto prendere in mano le redini della situazione, sarà la disperata speranza della giovane a spingerla ad andare avanti fino addirittura ad offrirsi come esca per evitare che l’uomo possa essere trovato dai nemici di questo episodio. Chi ha provato l’esperienza videoludica non può assolutamente dimenticare questo momento della storia che, vissuto nei panni di Ellie, è uno dei più drammatici e terrificanti dell’intero gioco. La figura deviata di David (interpretato da un ottimo Scott Shepherd) differisce vagamente rispetto a quella videoludica in un modo che, forse, depotenzia leggermente la messa in scena televisiva se messa a confronto con quella del gioco. Nella puntata, infatti, David appare come una figura piuttosto losca a partire dal primo incontro con Ellie, mentre nel gioco il disvelarsi della sua incredibile malvagità è più lento (i due affrontano anche un’orda di infetti insieme, e ci sono alcuni momenti in cui i videogiocatori sono quasi tentati a fidarsi di lui), rendendo dunque ancora più destabilizzante la presa di coscienza della sua vera natura bestiale. Nella serie tv questa discesa negli inferi è meno lenta ed incisiva ma, nel complesso, il risultato è positivo soprattutto per la grande interpretazione di tutto il cast (in questo episodio si aggiunge inoltre nei panni di James il celebre Troy Baker, che ha prestato la voce al Joel videoludico).

Si tratta di un piccolo appunto che soltanto chi ha provato l’esperienza videoludica potrebbe avvertire, perché la puntata funziona eccome e lo fa soprattutto grazie alla bravura della giovane attrice protagonista, che regge sulle spalle l’intero episodio. La disperata vendetta di Ellie che culmina dopo la tremenda escalation di crudeltà di David non si limita ad essere, infatti, un semplice accanirsi sul suo corpo accecata dalla rabbia: Bella Ramsey riesce a farci comprendere il trauma che sta vivendo in quel momento il suo personaggio. Ellie è arrabbiata, certo, ma è soprattutto terrorizzata dal fatto che la crudeltà di David ha scatenato anche la sua violenza, rendendola spaventata anche da se stessa. Il ricongiungimento con Joel a fine puntata resterà uno dei momenti più iconici della stagione: con quel “baby girl” Joel accoglie in tutto e per tutto Ellie come sua figlia e, da quel momento in poi, non ha più paura di volerle né di dimostrarle un bene di quella portata, nonostante tutto quello che ne consegue.

1×09 “Look for the Light”

Friedrich Nietzsche, di certo non uno sprovveduto, scriveva che “Ciò che si fa per amore, è sempre al di là del bene e del male”. È una massima che può essere discussa ed applicata a tantissime cose, ma si sposa benissimo con ciò che succede in questo intenso season finale. Nel corso degli episodi, infatti, gli autori hanno costruito con grande cura l’accrescere sempre più incisivo del legame fra Ellie e Joel, la cui portata si rivela, qui, distruttiva come soltanto un sentimento del genere può essere.

“Look for the Light”, così come è accaduto anche in altri episodi, amplia le vedute del gioco inserendo un altro prologo che ci offre scene importanti per comprendere meglio il presente. In questo caso particolare, il prologo della puntata offre una possibile spiegazione per l’immunità di Ellie e lo fa, quasi poeticamente, facendo interpretare ad Ashley Johnson il ruolo della madre della protagonista. Ashley Johnson è, infatti, colei che ha dato voce alla Ellie videoludica ed è piuttosto emozionante vedere come abbia portato letteralmente alla luce anche questa nuova versione del personaggio. Così come è significativo scoprire che la piccola Ellie si è trovata circondata dall’orrore dal momento stesso della sua nascita, senza avere mai la possibilità di sognare un’alternativa.

In questo si staglia la differenza cruciale fra lei e Joel: mentre Joel è un uomo che ha assistito al declino dell’umanità e che ha trovato soltanto nella giovane un’ancora di resistenza e una nuova possibilità per essere felice, Ellie ha invece un diverso approccio al futuro. Ad Ellie non basta nascondersi e resistere, anche se dovesse trattarsi di un’esistenza più felice e fortunata di quanto avrebbe mai potuto immaginare: la consapevolezza della sua immunità la spinge a credere che bisogna andare avanti per uno scopo più grande e nobile; che c’è forse una possibilità per porre fine a quell’unico orrore che ha potuto conoscere. Joel, dal canto suo, è un uomo che ha già perso tutto e che, prima di conoscere Ellie, non aveva alcuna speranza. Con Ellie, tutti i sentimenti paterni che lo animavano venti anni prima hanno avuto modo di ritornare in superficie, donandogli una sincera felicità, la stessa che gli si legge sul volto durante la splendida scena con la giraffa.

Anche quest’ultimo episodio, così come il primo, sceglie di ricalcare molte scelte registiche del gioco, portandoci infine ad assistere alla carneficina finale con il fiato sospeso. Bisogna dare gran merito all’interpretazione di Pedro Pascal che, anche nell’affrontare le scene in cui Joel mostra un’efferata violenza (rendendo con ciò chiarissimo che il personaggio ha compiuto atti crudeli anche in passato), riesce sempre a donargli un’aura di umanità e a rendere ben chiare le ragioni individuali che lo animano anche nei suoi atti apparentemente più diabolici.

Cosa ci si potrebbe aspettare da un uomo del genere quando riceve la minaccia per cui la sua unica ragione di esistenza – la sua seconda possibilità – è destinata a morire per il bene dell’umanità? Cosa può farsene Joel di quella stessa umanità che ha messo fine alla vita di sua figlia (che, ricordiamo, è stata uccisa da un uomo e non da un infetto)? Come potrebbe stare fermo a guardare dopo tutto quello che i due hanno passato soltanto per arrivare sani (più o meno) e salvi dalle Luci?

Per Joel è semplicemente insostenibile. Se con Sarah non ha avuto alcuna scelta né alcuna possibilità di salvarla, adesso invece può agire, e lo fa senza esitazione, spingendosi verso un punto di non ritorno. La sua scelta finale è stata in realtà costruita lentamente nel corso degli episodi, non soltanto nel legame sempre più stretto con Ellie, ma anche nelle piccole interazioni che ha avuto nella sua avventura, con la lettera di Bill in prima linea che gli ricorda di fare di tutto per salvare chi si ama: “That’s what I did: I saved him. And I protected him. That’s why men like you and me are here: we have a job to do. And God helps any motherfuckers who stand in our way.” Le ripercussioni della sua scelta saranno importantissime, non soltanto riguardo il proseguimento della trama, ma soprattutto riguardo il suo rapporto con Ellie che porta questa prima splendida stagione a concludersi con una pesante bugia, un atto disonesto guidato da un amore cieco e disperato, quel tipo di amore che non guarda in faccia a nessuna regola e a nessuna morale, capace di proteggere così come di distruggere senza alcuna esitazione.

Questi ultimi episodi, in definitiva, concludono un percorso assolutamente positivo che ha portato la serie di Craig Mazin e Neil Druckmann ad affermarsi come il migliore adattamento televisivo di un videogioco mai creato fino ad ora. Ma non è solo questo: The Last of Us ha saputo colpire e distinguersi anche come prodotto televisivo, principalmente perché è stata capace di far spiccare, nel bel mezzo dell’apocalisse, tutto ciò che resta di umano, mostrando quanto potente e distruttivo può essere l’amore quando questo si esprime in condizioni disperate.

Gli autori hanno custodito i temi fondamentali del gioco e li hanno trasferiti sullo schermo mostrando grande amore per il prodotto originale e anche una grande intelligenza nel costruire, puntata dopo puntata, il vero punto vitale della storia di The Last of Us, che ben prima di essere una storia su mostri e apocalisse, è una storia sulla resistenza, sul dolore e sulle modalità con cui i legami umani vanno ad intrecciarsi nelle più disperate delle situazioni. Le splendide interpretazioni di Pedro Pascal e di Bella Ramsey hanno spazzato via tutti i pregiudizi e hanno offerto al panorama televisivo una prova eccellente, mostrando sia grande bravura individuale e sia una grande affinità che hanno trasmesso ai loro iconici personaggi. Non ci resta, adesso, che aspettare con grande pazienza l’arrivo della prossima stagione, confermata ufficialmente. Se aspettare è sempre molto difficile, almeno questa volta possiamo consolarci tuffandoci nel videogioco.

Voto 1×08: 8
Voto 1×09: 8½
Voto stagione: 8½
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