Succession – Stagione 2

Succession nasce dalla mente di Jesse Armstrong, sceneggiatore britannico che ha collaborato a serie del calibro di Black Mirror e Veep, e segue la storia dei Roy, una ricca famiglia che controlla il conglomerato mediatico Waystar Royco che ha molti punti in comune con i reali Murdoch (proprietari tra le altre cose di Fox News). A capo dell’impero c’è Logan Roy, interpretato da un grandissimo Brian Cox, immigrato scozzese che ha costruito da solo questo colosso e che ora, alle porte del pensionamento, si trova a dover trovare l’erede al “trono”. Peccato che, in verità, non abbia nessuna voglia di lasciare in mano alla prole quella che in definitiva è la creatura a cui è più affezionato, dando così spazio a una serie di dinamiche in cui cerca di boicottare e manipolare gli eredi. Giochi di potere che a molti ricorderanno Game of Thrones, e questi Roy sono un po’ dei Lannister trapiantati nella New York del ventunesimo secolo.

Logan seduce e poi antagonizza, facendo ricadere i dubbi su chi gli sta di fronte, una tattica che gli permette di mantenere sempre il controllo. È una dinamica rivoltante, tipica di una figura che, negli ultimi anni, ci siamo abituati a vedere emergere fin troppo spesso nel mondo. Nonostante i chiari tratti disturbanti, riesce comunque a restare a galla e circondarsi di seguaci e veneratori disposti a fare qualsiasi cosa per compiacerlo ed entrare nelle sue grazie. Ovviamente non si ferma ai figli, e prosegue il suo percorso di antagonismo anche nei confronti del fratello, Ewan Roy (James Cromwell), unico personaggio immune al suo ego, una sorta di eremita recluso nel verde del Canada, che ne è l’esatto opposto: silenzioso, distaccato dagli affari di famiglia, ecologista, ma con un profondo odio per Logan che vede come reincarnazione di tutto quello che sta andando male nel mondo.
Il grande cast di membri della famiglia Roy è circondato da una serie di personaggi fantastici, tra cui il cugino Greg, nipote di Ewan interpretato da Nicholas Braun e uno dei co-protagonisti più interessanti che instaura un rapporto esilarante con Tom (Matthew Macfayden), il marito di Shiv. A loro si aggiungono i vari Gerri (J. Smith-Cameron), Marcia (Hiam Abbass), e Frank (Peter Friedman), che popolano il mondo dei Roy e che, nonostante non abbiano la stessa influenza di Logan, sono dei tasselli importantissimi nei complessi giochi di potere che ruotano attorno alla Waystar Royco. Tutto questo non sarebbe ovviamente possibile senza una grande scrittura, e la writers’ room guidata dal creatore Jesse Armstrong è riuscita nei due anni di messa in onda a toccare picchi narrativi altissimi, con un racconto mai convenzionale e sempre imprevedibile. Proprio lo showrunner ha vinto un meritatissimo Emmy per la migliore sceneggiatura con l’episodio finale della prima stagione “Nobodoy is Ever Missing”, superando la concorrenza dei favoriti Game of Thrones e Better Call Saul

Parlare oggi di ricchi miliardari sembra quasi in controtendenza rispetto alle tematiche di interesse globale, ma Succession riesce comunque a farsi strada e ad emergere come uno dei prodotti più interessanti degli ultimi anni, grazie a un racconto molto personale che è in definitiva la tragedia di una famiglia in cui i figli cercano in tutti i modi di farsi amare da un padre che proverà sempre rancore nei loro confronti per non aver sofferto e lottato quanto lui per ottenere quello che volevano. C’è molta tragedia greca in Succession, ma allo stesso tempo è una serie che diverte (i figli di Roy non citano Shakespeare o Machiavelli ma Star Wars) e intrattiene, diventando una satira fortissima di quello che avviene nei salotti dell’uno percento. L’episodio pilota è stato diretto da Adam McKay, premio Oscar per la sceneggiatura di The Big Short, e il suo stile registico ma anche narrativo trovano terra fertile nella serie di Jesse Armstrong. Proprio The Big Short e Vice – altro film di McKay – sono gli esempi più simili al tono di Succession.
Con la seconda stagione, Succession ha finalmente – e giustamente – iniziato a entrare prepotentemente nelle discussioni di critici e spettatori come serie assolutamente da non perdere, un prodotto di altissima qualità che spicca in un’epoca televisiva mai così ricca. HBO ha già annunciato il rinnovo per una terza stagione, che si prospetta come uno degli eventi più attesi del 2020, mentre in Italia possiamo recuperare le vicende della famiglia Roy su Sky, dove è da poco partita la messa in onda della seconda stagione. Se vi mancano le dinamiche di Game of Thrones o, più semplicemente, cercate un grande racconto familiare con scrittura impeccabile e grandi attori, Succession è la serie giusta.
Succession – Stagione 3

Podcast, recensioni e approfondimenti hanno accompagnato i due mesi di programmazione della terza stagione con grande entusiasmo, in un’annata per la serie creata da Jesse Armstrong che ha confermato la sua grandezza e ha tolto ogni dubbio a chi temeva arrivasse un primo passo falso. Che ci fossero gli elementi per un altro splendido capitolo della saga familiare dei Roy era già chiaro dall’ottimo episodio che ha aperto le danze, “Secession”, ma di settimana in settimana Succession ha infilato una striscia di puntate meravigliose, non facendo mai nulla di scontato e mantenendo il difficile equilibrio tra commedia pura e dinamiche da dramma shakespeariano.
Andando più nello specifico, è logico iniziare parlando di Kendall, colui che, dopo la conferenza stampa che aveva chiuso la scorsa stagione, sembrava essere davvero a un passo dal mettere in ginocchio il padre. Dopo l’euforia della premiere in cui Logan, forse per la prima volta, è apparso davvero in difficoltà, le cose hanno lentamente – e, soprattutto, dolorosamente – iniziato a ritorcersi contro Kendall, a riprova del fatto che il leader di questa famiglia e questo impero mediatico, per quanto disprezzato da tutti, continua ad esercitare un potere e un’influenza che lo rendono praticamente inattaccabile. Sicuramente le carte che Kendall aveva in mano, a lungo andare, non sarebbero state sufficienti per portare a compimento il suo grande progetto ma, nonostante abbia dimostrato alcune competenze nel corso degli anni, è evidente – e questo vale anche per gli altri fratelli – che non abbia davvero le capacità per prendere le redini della Waystar Royco.

Non è un caso che in molti, al termine di “Chiantishire”, dopo averlo visto a mollo in piscina in un’inquadratura che ricorda molto quella iconica del cadavere in acqua di Sunset Boulevard, abbiano pensato che Kendall si fosse tolto la vita. Da un certo punto di vista, per il suo personaggio, in quel momento avviene una sorta di morte, in quanto, dopo la cena della sera prima con Logan, Kendall si rende conto che la sua vita sarà sempre all’ombra della figura paterna, una prigione emotiva senza via di scampo.
Non se la sono passata tanto meglio gli altri potenziali eredi al trono della Waystar Royco. Shiv, indipendentemente dalla qualità delle sue azioni, non sembra riuscire a entrare mai veramente nelle grazie del padre. Allo stesso tempo, come Kendall, anche quando cerca di allontanarsi, viene risucchiata immediatamente, forse incapace di dire davvero addio ai Roy. L’esempio più lampante è il finale del sesto episodio “What it Takes”, in cui Shiv inizialmente sembra rifiutarsi di prendere parte alla foto che la vedrebbe ritratta con il futuro candidato repubblicano filo-fascista Jeryd Mencken, prendendo apparentemente una forte posizione etica e morale contro la politica familiare, ma quando il padre le chiede se faccia parte di questa famiglia, improvvisamente torna a essere succube di Logan. Il “You win, Pinkie” è quanto di più paternalista ci possa essere, una finta ammissione di sconfitta che evidenzia ancora più quanto Shiv e gli altri fratelli siano trattati ancora come dei bambini.

Logan naviga abilmente il rapporto con i figli, dando loro prima un piccolo assaggio di affetto per poi condirlo con litri di odio. In loro vede dei bambini viziati e privilegiati che non hanno mai fatto nulla per meritarsi la ricchezza in cui navigano, e da questo punto di vista la scelta di accettare la proposta di Matsson sembra quasi indicare che in lui abbia trovato una mente affine e, soprattutto, un “ragazzo” che ha costruito il suo impero con le sue mani, esattamente qualcosa che Kendall e gli altri non hanno mai fatto. Logan rappresenta alla perfezione l’1% dell’1%, quel gruppo di ricchi e potenti che controllano il mondo, in maniera estremamente discutibile, con metodi dettati più dall’orgoglio che dalla logica; nonostante dei passi falsi o delle reali accuse che potrebbero metterli in ginocchio, alla fine per loro le cose non cambiano mai, e tutti quelli che ruotano attorno a loro ne sono inevitabilmente vittime.
Succession è una serie cinica su un gruppo di persone profondamente odiose: non appena ci affezioniamo a uno dei protagonisti, gli autori ci ricordano quanto viscidi e spregevoli siano davvero. Eppure, in tutto questo, c’è spazio per una delle scene più toccanti della serie, cioè il momento in cui Kendall, seduto sul terreno polveroso della toscana, confessa a Shiv e Roman quello che ha fatto alla fine della prima stagione e di come la morte di quel ragazzo lo abbia intrappolato emotivamente per tutto questo tempo. La grandezza dello show sta anche nella reazione quasi imbarazzata di Shiv e Roman che non hanno assolutamente idea di come reagire in maniera umana di fronte al fratello che si dimostra così vulnerabile per la prima volta. Roman, per esempio, attua l’unica tattica a sua disposizione, ovvero metterla sul ridere. Quello che però nasce da questo momento è qualcosa che per lungo tempo i fan della serie hanno atteso: i tre fratelli uniti contro il padre. Sembra l’inizio di uno scontro finale epico, di una battaglia generazionale in cui i più giovani, che per così tanto tempo hanno subito la malvagità del perfido Logan Roy, hanno finalmente trovato la forza di compiere il tanto desiderato colpo di stato.

Oltre a Logan, chi esce a testa alta da questa stagione è l’inseparabile duo Tom-Greg. Il primo, coinvolto in uno dei matrimoni più tristi mai visti sul piccolo schermo, benché spesso preso di mira dai fratelli Roy (in primis da Shiv), a testa bassa è riuscito a entrare nelle grazie di Logan, e dopo mesi passati su blog carcerari e a provare il cibo nei diner, Tom diventa protagonista di uno dei tradimenti più taglienti di Succession, in una scena che gli è valsa l’appellativo di “Tomfather” – complice anche la scelta registica di inquadrarlo dalla porta proprio come nei momenti conclusivi del primo film de Il Padrino – e che chiude in maniera perfetta la stagione. Greg, invece, tra una rivalità con Greenpeace e l’essere a un solo disastro aereo dal diventare il re di Lussemburgo, si è sempre più avvicinato allo stile e alla cinismo che contraddistinguono gli altri, passando dall’essere quel ragazzo che si fumava uno spinello in macchina nel pilot, a qualcuno che, in quanto vice di Tom, è ora in una posizione di potere superiore a quella dei fratelli Roy.

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